PALERMO – Quanti ricordi svela una chiave. La chiave è proprietà. Di luoghi fisici e di luoghi della mente. E’ espressione della titolarità di un luogo, di uno scrigno, di un portalettere. Più astrattamente è il mezzo con cui dischiudere i sentimenti, quindi l’anima. Quelle di lettura possono aiutare a risolvere l’intricata logica di qualche mente imperscrutabile. Ecco.
In Sicilia, terra che è espressione estetica di iperboliche bizzarrie, non c’è chiave più letteraria del Chiavinu. Il nome stesso è un’iperbole al contrario. Diminutivo accrescitivo. Dieci volte più grande di una chiave comune, apre porte comuni di luoghi che celano ricordi propri. Spesso, un mondo che non c’è più. Un mondo che, quando gira nella toppa, avverte con il suo inconfondibile cigolio, avvisando dell’arrivo degli intrusi. Enorme e di ferro. Di quello stesso ferro con cui erano fatti gli utensili e le arche dei Santi.
Sei in macchina. Con tua madre. Una buca che ti fa sobbalzare produce una serie di lamenti e borbottii dagli oggetti presenti a bordo. Ognuno col suo timbro, col suo grado di disapprovazione. Inconfondibile anche quello del chiavinu.
La mamma allora prende e dice: “Un tempo, le prime volte che si guardava la televisione il film alla sera lo facevano alle 9. Era un evento. Le figlie guardavano la televisione con le mamme che esercitavano l’ultimo, oggi rivoluzionario, livello di censura”. E se, durante il film, si verificava una scena di un bacio appassionato, la mamma saltava e diceva: “Fituso finiscila ca ti tiru u chiavinu“.