“In questo momento, da genitore, prego la morte di mia figlia, non prego la sua salvezza”.
Con queste drammatiche parole un padre ha rivolto alla figlia ridotta in fin di vita dal proprio compagno, una preghiera inimmaginabile per chi, a quella ragazza, ha fatto il dono più grande, quello della vita. L’ennesimo genitore costretto a sopravvivere alla propria figlia, ruoli e responsabilità diverse ma tutti protagonisti della stessa tragedia, tutti segnati dalle drammatiche conseguenze di un gesto disperato: vite spezzate da un corto circuito emozionale che lascia spazio solo a dolore e rimpianto che non potranno mai attenuarsi.
Non è soltanto la storia di un delinquente, uno dei tanti volti diventati ormai tristemente familiari in scatti rapiti ad un’altra vita, è inutile affidare alla repressione penale il compito che invece compete alla scuola ed alla famiglia. Il profilo criminale in questi casi è secondario, il carnefice è, prima di tutto, vittima di se stesso, privato dell’educazione e degli strumenti necessari per affrontare una vita di relazione improntata all’amore ed al rispetto prima che verso gli altri, verso se stesso. Considerare questi fenomeni sociali come femminicidio, termine orribile nella sua crudezza ed ipocrita nel malcelato tentativo di circoscrivere alla sfera criminale un problema principalmente educativo e culturale, è un atto di imperdonabile disonestà intellettuale.
Li chiamano amori malati, i protagonisti recitano sempre, inesorabilmente, lo stesso copione fatto di rabbia repressa, debolezza, paura, solitudine, fino alla resa dettata da una disperazione che trova il proprio consueto epilogo nella tragedia, nel sangue, nel gesto fatale, quello spinto a conseguenze estreme. Storie in cui è il disagio a rappresentare il collante più forte, a dispetto di tutto ciò che è il rispetto, la complicità, la condivisione, ciò che immaginiamo sia l’amore. Ci si lega a chi può colmare le più profonde lacune affettive, a chi può soddisfare il bisogno di farci sentire importanti e, mediante il sacrificio, si vuol offrire un’occasione di riscossa a chi vive l’atroce consapevolezza di essere uno sconfitto. Si assiste ad un baratto disperato tra una vita caratterizzata dal deserto emotivo ed un’offerta di sentimenti, anche se morbosi, che diano l’illusoria sensazione di essere importanti, almeno per qualcuno.
Preda e predatore sembrano scambiarsi i ruoli, tutto si rivela paradossalmente razionale, l’uomo è lo sconfitto alla ricerca dell’occasione di riscossa, della svolta e la donna, forte nel suo essere disposta al sacrificio, dona a chi le sta vicino la considerazione di cui ha bisogno per sentirsi uomo. Questi, vittima della continua, incessante, offerta di modelli ai quali non può adeguarsi, soccombe alla inevitabile sensazione di sconfitta ogni qual volta si discosta da ciò che deve apparire per esistere agli occhi degli altri. Spesso cresciuti in famiglie sempre più distratte in cui l’indulgenza tenta di mascherare l’effettivo disinteresse e traghettati nel mondo degli adulti da una scuola che non prepara ad accettare sconfitte, dinieghi e bocciature, ci troviamo proiettati nella vita assolutamente impreparati, schiacciati tra ciò che dovremmo essere e non siamo e ciò che siamo e non possiamo accettare di essere.
Non resta che cercare un’occasione di riscossa, possedere gli altri come se fossero oggetti, incapaci, quindi, di opporre rifiuti che non si è pronti ad accettare. Svilita l’importanza della poesia, delle parole, dei gesti, del tempo da dedicare al corteggiamento che può avere come epilogo anche un rifiuto, le relazioni, talvolta, trovano altri morbosi equilibri nello sfruttamento dello stato di bisogno che l’uno ha dell’altro. La sopraffazione assume, per lui, lo strumento per la tanto agognata affermazione personale; per lei, invece, il bisogno di appartenere è l’unico modo di sentirsi importante, destinataria di una considerazione altrimenti negata. Vittime e carnefici unite dallo stesso atroce destino, l’incapacità di vivere un rapporto di coppia per carenza degli strumenti emotivi necessari, riduce la relazione ad un atavico istinto di dominare ed appartenere.
Lotta per la sopravvivenza, sensi all’erta nell’individuare chi è disposto al sacrificio richiesto, possedere ed essere posseduti come un mostruoso equilibrio su cui si regge un rapporto che procede impetuoso, quasi a passo di danza, verso una tragica che non provoca alcuna sorpresa, solo dolore. Per lungo tempo ci si rifiuta di sottomettersi agli imperativi della vita, incapaci di ammettere di essere già stati sconfitti e di accettare, quindi, la necessità del cambiamento, del compromesso, del mutamento di rotta, dell’opportunità di calibrare nuovamente le proprie ambizioni ed i propri sogni adeguandoli ad realtà così diversa da quella proposta dagli irraggiungibili modelli dominanti.
L’irrefrenabile preoccupazione del giudizio altrui, la necessità dell’approvazione sociale secondo il consueto stereotipo sconfina in una forma di dipendenza che porta alla paranoia; il bisogno di provare rabbia per mantenersi lucidi, in sintonia con l’istinto, vivi, determina legami di coppia in cui si è completamente sbagliati l’uno per l’altra e, quindi, ancor più inscindibilmente legati da un destino già scritto. Al delitto, alla tragica scelta di porre fine ad una vita, non segue quasi mai la fuga e la ricerca di impunità tipiche del delinquente, segue la consegna, la confessione, la resa definitiva di chi non ha più la forza di lottare perché costretto ad ammettere la propria ennesima sconfitta, la più dolorosa, quella senza appello.
Talvolta, chi non esce sconfitto da questo conflitto interiore non è che un’eccezione e ciò non deve determinare la colpevolezza morale di coloro che soccombono alla depressione ed alla disperazione, si tratta di umanità, fragile ma ostinata a mostrarsi forte, sprezzante quando forse basta avere il coraggio di chinare la testa ed ammettere di aver paura. Quello offerto non è che un punto di vista, uno dei tanti dai quali osservare vicende che, uniche e singolari nella loro drammaticità, sarebbe superficiale ridurre a semplicistici automatismi tra cause ed effetti, i sentimenti – soprattutto quelli più forti e tormentati – sono insondabili e resistono ad ogni forma di prevedibilità. Per fortuna.