Anziani vessati, il racconto choc| “Urla e cibo scadente” - Live Sicilia

Anziani vessati, il racconto choc| “Urla e cibo scadente”

Giusy Garufi racconta i mesi vissuti dalla madre nella casa lager di Calatabiano.

CALATABIANO
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CALATABIANO. Ha ancora i sensi di colpa, a distanza di tempo, per non essersi accorta prima delle sofferenze patite dall’anziana madre nella casa di riposo di Calatabiano, “Nostra Signora di Lourdes”, chiusa a fine anno dai carabinieri su provvedimento del gip. Giusy Garufi, la prima ad accorgersi che qualcosa in quella struttura non andava ed a denunciare tutto ai carabinieri, racconta a LiveSiciliaCatania le sensazioni e i sospetti vissuti in prima persona all’interno di quel residence trasformatosi in un lager per i suoi ospiti. “Innanzitutto vorrei ringraziare l’Arma dei carabinieri, nella persona del suo comandante, il maresciallo Sebastiano Curcuruto, e tutti i suoi uomini – dice con gratitudine – Perché oltre ad aver svolto un lavoro eccellente posso dire che ci hanno messo il cuore, l’anima, la sensibilità ed hanno fatto sì che tutto questo scempio finisse”. A fine giugno Giusy Garufi decide di portare la madre, che ha difficoltà motorie, in quella casa di riposo. Una scelta dettata in primo luogo dalla vicinanza. “In questo modo avevo la possibilità di vederla ogni qualvolta volevo – spiega – Infatti andavamo più volte al giorno, io, mio figlio, mio marito o mio cugino. Eravamo sempre presenti”.
Una presenza continua non gradita dai responsabili della struttura, costretti a salvare le apparenze. La donna, sin da subito, nota carenze e comportamenti anomali.
“Dall’inizio avevo notato, per esempio, l’assenza di personale – racconta – C’erano solo due donne ma non vi era alcun supporto infermieristico o medico. Ma essendovi il medico a pochi metri non mi sono preoccupata. E poi ho notato che l’alimentazione scarseggiava. Insomma c’erano cose che non andavano. Da quel momento ho deciso di tenere aperti gli occhi per controllare cosa succedesse lì dentro. Con la scusa del bicchiere d’acqua o con la scusa di andare in bagno, giravo e cercavo di osservare. Ho visto, per esempio, che i farmaci erano posati in luoghi, come la cucina, dove non dovrebbero stare e tante altre piccole cose. Ero guardinga”. Ogni servizio, anche il più scontato, era frutto di una conquista. “Dovevo lottare per ogni cosa – ricorda ancora – Ho lottato anche per l’aria condizionata, perché dove dormiva mia mamma batteva il sole e c’era un caldo terribile. Nel salone non la accendevano mai, addirittura nascondevano il telecomando. Quindi si pativa il caldo. E comunque – prosegue Giusy Garufi- dovevo controllare che seguissero mia madre in tutto. Se le avevano fatto la doccia, se le avevano cambiato gli indumenti e persino il catetere. Poi mi resi conto che utilizzavano l’acqua del rubinetto, messa nelle bottiglie dell’acqua naturale, con i tappi stretti molto bene affinché non ce ne accorgessimo. In queste cose erano molto attente. Io me ne sono resa conto perché le dipendenti bevevano da altre bottiglie che si portavano da casa”.
Capitava sovente che, nonostante la presenza di estranei, gli anziani venissero duramente ripresi. “E’ accaduto più di una volta, davanti a me e a mio figlio – ricorda – Durante l’ora dei pasti, se finiva un po’ di cibo a terra, i toni improvvisamente si alteravano. Molti degli anziani erano affetti da demenza senile o dall’Alzheimer. Nonostante ciò, urlavano. Si lasciavano andare, incuranti della mia presenza, e si assisteva a vessazioni nei confronti di questi poveri anziani con parole irripetibili. In quelle occasioni sono intervenuta e ho detto: “Dai, lascia perdere”. E mi sentivo rispondere: “Se non faccio così”. Ho notato – prosegue Giusy Garufi – una rabbia che non saprei davvero spiegare. Davanti a me non esageravano, essendo un’estranea. Se non ci fossi stata io penso che sarebbero saltati i piatti in aria”. Dopo pochi mesi, ad ottobre, la donna decide di portare via la madre da quella casa di riposo. Ad insospettirla più di ogni altra cosa è lo strano comportamento assunto dall’anziana madre. “Appena mi vedeva – spiega – si aggrappava a me e piangeva. Mia madre è sempre stata un po’ depressa, quindi il pianto non mi stupiva. Più che altro mi colpiva il modo in cui si aggrappava, come se volesse chiedermi aiuto. Da quel momento ho capito che qualcosa non andava. Ho spinto mia mamma a parlare ma ha avuto paura. Poi mi sono consigliata con il sindaco Giuseppe Intelisano, che mi ha dato le giuste indicazioni. Mi sono così rivolta ai carabinieri. A quel punto ho deciso di portarla via e poi ho chiesto aiuto. Alla responsabile della struttura ho detto che avrei portato mia madre a fare dei controlli in ospedale. Ho avuto paura a dirle che la portavo via definitivamente. Temevo – racconta -che potessero fare del male. Ho avuto paura, avevo brutte sensazioni”.
Mai Giusy Garufi avrebbe però immaginato quello che poi è emerso durante l’attività investigativa. “Quando ho saputo che veniva usata solo una spugnetta per tutto – dice con la voce rotta dall’emozione – ho pianto per tre giorni. Non mi sarebbe costato nulla portarle io. Anche perché ho portato bagni schiuma, profumi e shampoo, che sparivano regolarmente. A questo punto penso che se li portassero a casa. Igienicamente io non facevo mancare nulla a mia madre, ma queste cose sistematicamente sparivano. Mi risulta, tra l’altro, che mia madre sia stata anche lavata con l’acqua fredda. Anche questo l’ho scoperto dopo. Mi sento in colpa, mi dico che sarei dovuta essere più attenta. Ma non potevo mai immaginare che quelle persone potessero arrivare a tanto. Quando ho letto l’articolo, l’ho dovuto rileggere cinque volte. E’ stato terribile. Pensare – conclude – che mia madre è stata lì è una cosa che mi fa star male. Ancora adesso mi fa star male”.


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