Caso Armao Zingale, dal restauro in chiesa a 600mila euro di tasse

Armao-Zingale: dal finanziamento alla “vendetta” in commissione tributaria

L'inchiesta partì dai fondi per un restauro in una chiesa

PALERMO – Giugno 2022. Gaetano Armao prese carta e penna per scrivere un esposto durissimo contro Pino Zingale. Ovunque si girasse vedeva le trame di un unico regista: il procuratore regionale della Corte dei Conti.

Inviò l’esposto al segretario generale della Corte dei Conti e alla Commissione disciplinare del Consiglio di presidenza della stessa Corte che lo girarono alla Procura della Repubblica che aprì un fascicolo per concussione.

L’inchiesta si è chiusa con l’archiviazione, ma è lungo l’elenco delle “interferenze” segnalate dall’allora assessore regionale all’Economia.

Il restauro

La prima riguardava il restauro della pala d’altare che si trova all’interno della chiesa del Sacro Cuore di Monreale, sede dell’Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme, di cui Zingale è il Gran Balì. Serviva un finanziamento di circa 30 mila euro che alla fine fu concesso dalla Soprintendenza ai Beni culturali.

Armao non comprese subito il motivo delle “molteplici richieste dirette ed indirette” ma si attivò per fissare un appuntamento fra la soprintendente Selima Giuliano e il cancelliere dell’Ordine, Francesco Paolo Tronca, che era anche direttore amministrativo dell’ospedale Di Cristina di Palermo.

Cosa “temeva” Armao

Armao spiegava nell’esposto di essersi prodigato per il restauro “temendo che i ritardi potessero ripercuotersi sulle procedura di parifica del rendiconto generale della Regione 2019 (sul quale il procuratore generale ebbe a svolgere pesanti quanto infondati rilievi, poi rigettati dalla Corte dei conti di controllo regionale, ma sempre accompagnati da ampie e puntuali diffusione sui media regionali”) nonché sulle sue personali vicende di appellato nel giudizio tributario”).

L’archiviazione

Il giudice per indagini preliminari Ivana Vassallo nell’archiviazione dell’inchiesta nei confronti di Zingale ha scritto che non ci fu alcuna pressione illecita. Zingale si era limitato “quale legale rappresentante pro tempore dell’Ordine di San Lazzaro, a sottoscrivere, unitamente al parroco della Chiesa, una richiesta per il restauro della pala, indirizzandola al competente Dirigente generale del dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana”.

“Non ho mai ricevuto segnalazioni, né sollecitazione da parte dell’assessore Armao”, ha confermato Selima Giuliano sentita dagli investigatori. E aggiunse di non conoscere Zingale, né gli altri rappresentanti dell’Ordine con i quali i rapporti sono sempre stati condotti nella massima trasparenza.

Una volta incontrò il procuratore generale nel suo ufficio. L’aveva chiamata per raccogliere una sua dichiarazione scritta che confermasse il fatto che fra i due non ci fosse stato alcun accordo o richiesta per la storia della pala d’altare. Giuliano ne rimase sorpresa, era irrituale ma siccome era la verità non ebbe alcun problema a firmare quella dichiarazione.

Pesanti ombre Armao gettava sul lavoro di Zingale. Le Sezioni riunite della Corte dei Conti avevano dato il via libera al rendiconto della Regione per il 2019. Il procuratore generale fece appello, poi parzialmente accolto, contro la delibera di parifica.

“Toni neutri ed equilibrati”

Secondo l’allora assessore, era un modo per convincerlo ad interessarsi alla pratica per il finanziamento del restauro della pala d’altare. Il gip parla invece di “fisiologico esercizio delle prerogative del Pubblico Ministero in un qualsiasi giudizio”, “i toni utilizzati da Pino Zingale sono neutri, equilibrati e si inseriscono nella normale dialettica delle parti di un giudizio; le interlocuzioni di Pino Zingale, pertanto, non esprimono oggettivamente alcuna condotta di abuso, costrizione, prevaricazione, prepotenza o simili”.

Ancora più pesante l’accusa sul giudizio espresso dalla commissione tributaria, presieduta da Zingale, che diede torto ad Armao.

L’ex assessore e avvocato la considerava addirittura “una vendetta” nei sui confronti. Una vendetta molto salata visto che le imposte non versate ammontavano ad oltre 600 mila euro (il giudizio è ancora pendente in Cassazione).

Secondo Armao, sarebbe stato quantomeno opportuno che Zingale si astenesse. “Una valutazione complessiva e sistematica degli elementi acquisiti con riferimento specifico alla vicenda del contenzioso tributario tra Armao e l’Agenzia delle Entrate – ha scritto il giudice Vassallo del decreto di archiviazione – permette di escludere radicalmente qualsivoglia rilevanza penale nel comportamento tenuto da Pino Zingale”.


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