Il carretto siciliano ad Agrigento, la storia di Raffaele La Scala - Live Sicilia

Il carretto siciliano nella Città dei templi, la storia di Raffaele La Scala

La vita dell'ultimo mastro carradore e il grande viaggio che ha portato il carretto siciliano nella Città dei templi

Parlare della tradizione del carretto siciliano ad Agrigento vuol dire affrontare una storia di contaminazione fra le province dell’Isola, vuol dire parlare di un’eredità immateriale della Sicilia, della storia di un territorio e di una famiglia. Quella del carretto siciliano ad Agrigento è una produzione non autoctona, eppure, grazie al grande valore che può imprimere un’esperienza, si è affermata come propria di questo territorio.

Le origini e la sfida del rilancio

Il carretto agrigentino trova le sue origini a Comiso, patria del carretto ragusano. Lì si recavano i commercianti agrigentini per comprare i carretti. C’era una tradizione a Licata, così come a Porto Empedocle, ma nella Città dei tempi non si osservava una produzione specifica. Come da Comiso si arrivi ad Agrigento lo scopriremo da qui a poco. A guidarci in questa storia è Marcello La Scala, figlio d’arte: suo padre è Raffaele La Scala, mastro carradore, titolo col quale è iscritto come “tesoro umano” al Reis, Registro delle Eredità immateriali della Sicilia. Papà Raffaele non c’è più, ma la tradizione del carretto siciliano continua a vivere in Marcello.

Dialogo fra Andrea Camilleri e Raffaele La Scala

“Fin dall’età di tre anni andavo in bottega e vedevo fabbricare i carretti siciliani da mio padre – racconta Marcello La Scala -. Nel 1959 la tradizione dei carretti siciliani viene via via cancellata e così mio padre cambia mestiere”. Nel 1983, con la nascita della figlia di Marcello, la fabbricazione di carretti viene rilanciata per non perdere la grande storia familiare. “Quell’anno – racconta Marcello La Scala – chiesi a mio padre di rispolverare gli attrezzi e riprendere a realizzare carretti perché i suoi nipoti potessero sapere che da quelle mani erano usciti fuori dei capolavori”. L’uomo accettò la sfida. Fabbricò un primo carretto in miniatura e continuò a crearne fino a due anni prima di morire, nel 2006.

Il “viaggio” del carretto siciliano verso Agrigento

Raffaele La Scala nasce a Comiso. Orfano di padre, fin da piccolo è costretto ad andare dal mastro nel pomeriggio, dopo la scuola. Apprende l’arte del carretto a Comiso presso le botteghe del posto, e a 14 anni realizza il primo carretto per suo nonno. Nelle botteghe costruisce carretti per tanti agrigentini che si recano lì per acquistarli; sono loro che nel 1946 convincono La Scala a trasferirsi ad Agrigento, dove fino al 1959 realizzerà nuovi carretti e si occuperà della manutenzione e del restauro di quelli già esistenti. Poi il blocco, fino 1983, anno in cui la tradizione riprende ma in una veste nuova.

Le caratteristiche del carretto siciliano

Nell’Ottocento la Sicilia si arricchisce con la fioritura del commercio anche grazie al carretto siciliano, che rappresenta una rivoluzione nei traffici di merci. Prima il trasporto era con i cavalli e con i muli, mentre il carretto trasforma il contadino e lo rende commerciante.

I carretti siciliani si differenziano principalmente per due elementi: il colore e la forma. Il colore che caratterizza il carretto occidentale è il giallo, mentre quello catanese o ragusano è contraddistinto dalla prevalenza del rosso. Le ipotesi all’origine di questa cromatura sono due: che si tratti del rosso del fuoco dell’Etna o, forse, del rosso del sangue versato nei moti rivoluzionari. Quanto alle forme, le sponde palermitane sono trapezoidali mentre quelle della scuola catanese sono rettangolari.

carretto siciliano

Esistono poi ci sono dei particolari distintivi secondari: per esempio il carretto comisano era pensato per attraversare le colline, quindi rispetto a quello ragusano era più leggero. Ecco perché, alla luce delle similitudini fra i territori, gli agrigentini andavano ad acquistare questo mezzo di trasporto a Comiso (fino al trasferimento di alcuni artigiani fra cui Raffaele La Scala). “C’era il massimo rispetto per l’animale – racconta Marcello La Scala – perché appesantirlo voleva dire accorciargli la vita. Ogni carradore dava così al carretto un equilibrio straordinario. Il compito dell’animale era solo trainarlo”.

Chi lavorava al carretto siciliano

In un carretto non c’era solo il lavoro del carradore. C’era piuttosto la cooperazione di cinque professionalità. Primi fra tutti lo scultore e l’intagliatore che si occupavano di lavorare il legno. In molti casi erano nella stessa bottega: prima si imparava l’arte dell’intaglio e poi quella della scultura. Si aggiungeva il fabbro che realizzava le parti in ferro.

Poi, il carradore assemblava i pezzi. Era una sorta di ingegnere: metteva in equilibrio un carretto. “Non è cosa semplice – racconta Marcello La Scala – e nonostante l’assenza di una formazione teorica, questi artigiani realizzavano un equilibrio perfetto”.

Infine c’era il pittore, la figura che ha dato valore culturale ai carretti. Oggi i carretti siciliani sono oggetti culturali che appartengono alla storia, ma nell’Ottocento erano veicolo culturale perché proprio attraverso i carretti si raccontavano alla gente gli episodi della vita di Cristo, la storia dei paladini di Francia o le battaglie del Risorgimento.

Al ritorno al lavoro, nel 1983, tutti questi artigiani non esistevano più, costretti a reinventarsi un mestiere. I pittori invece si erano trasformati in restauratori. Così è accaduto che Raffaele La Scala si ritrovasse a svolgere tutti i mestieri connessi al carretto (salvo il pittore).

La tradizione del carretto siciliano oggi

Ai giorni nostri, come avrebbe voluto Raffaele La Scala, la tradizione del carretto siciliano vive grazie al racconto che Marcello La Scala ne fa ai turisti e ai curiosi. Il figlio del mastro carradore ha allestito un museo permanente, dove ha ricostruito la carretteria siciliana. Lì ospita turisti, famiglie e bambini, conducendoli per un’ora nella grande storia del carretto siciliano, mostrando loro i carretti e permettendo loro di toccare con mano la storia. “La carretteria non è il luogo in cui lavorava mio padre, ma il ‘garage’ – racconta La Scala -. Oggi produrre carretti sarebbe un’opera da collezionismo. Per questo preferiamo il racconto: è il mezzo attraverso cui riusciamo a rendere accessibile a tutti questa centenaria esperienza”.

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