Palermo, il padre suicida: il pianto della figlia e del fidanzato

“Abbiamo sbagliato”: il padre suicida, il pianto della figlia e del fidanzato

Il carcere minorile Malaspina di Palermo
Il drammatico interrogatorio dei due giovani indagati

PALERMO – “Non credevo che finisse cosi, non volevo”, ha detto la figlia in lacrime. Anche il fidanzato piangeva durante l’interrogatorio: “Chiedo scusa ai parenti, agli altri figli”, ha spiegato al giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni Alessandra Puglisi nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

Pentiti e dispiaciuti per il drammatico epilogo, ma al contempo increduli che potesse finire in tragedia. Il padre della ragazzina si è suicidato lo scorso marzo. Spinto, secondo la Procura dei minori, dalle pressioni psicologiche e le minacce subite. I due fidanzatini – 15 anni lei e 18 lui – gli chiedevano continuamente soldi.

Interrogati dopo il suicidio del padre

“Ho sbagliato, ho sbagliato”, ha ripetuto il ragazzo lo scorso dicembre. Era un periodo difficile – “non avevamo soldi” – ed erano diventati genitori. Un rapporto complicato in un contesto familiare carico di tensioni e degradato, culminato nell’arcaica fuitina.

La madre della ragazzina è morta nel 2023. Tra la figlia e la nuova compagna del padre non sarebbe scattata la sintonia. E così si è trasferita a casa del fidanzato. Anche lui vive una condizione di disagio.

Il padre, infatti, è stato condannato a 12 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Reato aggravato dall’articolo 7, che viene contestato quando c’è di mezzo la mafia. Era in carcere quando è avvenuto il suicidio. Ora sta finendo di scontare gli ultimi mesi di pena agli arresti domiciliari. Una parte dei soldi chiesti alla vittima sono serviti per affrontare le sue spese carcerarie.

Gli investigatori ritengono che i due fidanzati sfruttassero i precedenti penali per mettere paura al padre.

La quindicenne ha ribadito al gip nel mese di novembre e poi a dicembre al Tribunale del Riesame non che l’idea del suicidio non le ha sfiorato la mente. Neppure per un istante, nonostante il padre lo avesse lasciato intendere nei messaggi che si scambiavano via WhatsApp.

Le liti per i soldi

I soldi (cinquemila euro) le servivano, erano la sua parte di eredità dopo la morte della madre, “ma non voleva darmeli”. Non ha creduto al padre disoccupato quando si giustificava dicendo che non era in condizione di comprare cibo e medicinali. “Quando andavo a casa da lui le cose non mancavano”, ha spiegato al quindicenne.

Ha ammesso che nei confronti del genitore quarantottenne provava rabbia, ma “tutte le volte che litigavamo poi ci rivedevamo”. Avrebbe voluto partecipare al funerale, ma qualcuno in famiglia le ha suggerito che era opportuno non presentarsi.

Il dispiacere, il pianto e il ravvedimento mostrati in sede di interrogatorio non hanno convinto né il giudice per le indagini preliminari, né il tribunale del Riesame che ha confermato la misura cautelare (lei è in comunità, lui al carcere minorile).

È lecito attendersi una nuova istanza degli avvocati Rosamaria Salemi e Salvatore Ferrante che non commentano la vicenda. Sperano, però, che abbia un peso il percorso di rieducazione avviato dai due giovani indagati per estorsione e per avere provocato la morte del padre come conseguenza non voluta del primo reato.

La linea difensiva è che non ci sarebbe stata alcuna costrizione e in ogni caso mancherebbe il nesso di causalità fra le richieste di denaro e il suicidio. Era un ambiente conflittuale, segnato dal disagio economico a cui si erano aggiunti problemi per l’arresto di un familiare.


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