PALERMO – In appello cade l’unico capo di imputazione che aveva retto in primo grado. Assolti l’ex sindaco di Bagheria Patrizio Cinque e l’ispettore della polizia municipale Domenico Chiappone. In primo grado avevano avuto otto mesi ciascuno di carcere con la sospensione condizionale della pena.
Il collegio presieduto da Adriana Piras non ha accolto la tesi accusatoria che ruotava attorno ad un presunto abusivismo edilizio a Bagheria. Al protocollo del Comune fu presentata quella che sembrava l’autodenuncia di un cittadino che ammetteva di avere costruito un immobile fuorilegge.
Si trattava di Domenico Buttitta, il cognato di Cinque. Chiappone ne parlò con l’allora sindaco che chiamò il cognato. In realtà venne fuori che la denuncia era stata opera di un anonimo. Agli imputati veniva contestata la rivelazione del segreto di ufficio.
La difesa ha sostenuto che non ci fosse alcun segreto perché in ogni caso il sindaco, in quanto tale, avrebbe avuto il diritto di conoscere i fatti. Ed è questa la tesi che hanno ribadito i legali della difesa, gli avvocati Antonio Di Lorenzo, Salvo Priola, Vincenza Scardina e Filippo Liberto.
Per Cinque, eletto nel Movimento 5 Stelle, da cui poi si smarcò, erano già caduti gli altri capi di imputazione: dalla presunta turbativa d’asta per l’affidamento diretto da 5 milioni del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti al falso ideologico per l’affidamento del palazzetto dello Sport.
L’inchiesta nel 2017 ebbe importanti ripercussioni non solo amministrative all’interno del comune di Bagheria, ma anche politiche tra i grillini. A Cinque era stato notificato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e si era autosospeso. Luigi Di Maio all’epoca lo aveva criticato duramente in nome dell’onestà sempre sbandierata dal Movimento 5 Stelle.
Il documento che portò alla condanna di primo grado fu protocollato. Era stato presentato da qualcuno che si spacciava per il parente del sindaco. L’ispettore dei vigili avrebbe contattato Cinque per metterlo al corrente della vicenda. A sua volta l’ex primo cittadino avrebbe avvertito il cognato per chiedergli chiarimenti. Da qui la contestata rivelazione di segreto d’ufficio. Che però non ha retto davanti ai giudici d’appello.