Il crac della Keiron Telmed, condannato avvocato catanese

Il crac della Keiron Telmed, condannato avvocato catanese

Assolti gli altri due imputati, che fecero parte del cda, tra cui lo psicoterapeuta ennese, ex assessore regionale Paolo Colianni.
SENTENZA DI PRIMO GRADO
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CATANIA. L’avvocato catanese Giuseppe Di Stefano è stato condannato a 3 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della Keiron Telmed srl, società che a metà anni Duemila portava avanti importanti progetti nel campo della telemedicina nella zona industriale di Dittaino, in provincia di Enna. Altri progetti erano ancora in cantiere, ma la sua attività, come detto, si concluse con il fallimento, dichiarato il 19 aprile 2008.

I giudici del Tribunale collegiale di Enna, con in testa il presidente della sezione penale Francesco Paolo Pitarresi, hanno ritenuto l’amministratore responsabile de reato, ma gli hanno concesso le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti, scendendo per questo ben al di sotto rispetto alla richiesta del pubblico ministero. La requisitoria si era infatti conclusa con la pesantissima richiesta di otto anni di reclusione per Di Stefano, che è difeso dall’avvocato Giacomo Vitello del foro di Caltanissetta. È caduta, infatti, l’aggravante di aver cagionato un danno economico di rilevante entità.

Assolti con formula piena invece gli altri due imputati, due componenti del cda, Orazio Sofia di Mascalucia, difeso dall’avvocato Maurizio Magnano di San Lio, e lo psicoterapeuta ennese Paolo Colianni, difeso dall’avvocato Eliana Maccarrone, noto per il suo storico impegno in politica, già assessore regionale alla famiglia. Entrambi sono stati assolti con formula piena, per non aver commesso il fatto. Per Sofia l’assoluzione era stata chiesta già dal pubblico ministero; per Colianni, invece, il pm aveva chiesto la condanna a 4 anni.

La vicenda, come detto, riguarda il fallimento della Keiron. A Di Stefano viene addebitata una presunta distrazione di 4 milioni 125 mila euro, versata da un’altra società di cui era socio, “in esito ad un contratto avente ad oggetto una fornitura di valigette di telemedicina, per acquistare le quote sociali della medesima società, versando ai suoi soci, a titolo di caparra, l’importo complessivo di € 4.125.600,00”. A Colianni e Sofia era contestata l’approvazione del bilancio nel 2005, nella parte in cui l’amministratore Di Stefano disponeva l’acquisto delle quote sociali. In realtà però dal dibattimento è emerso che Sofia, all’epoca dell’approvazione del bilancio, si era già dimesso da tempo; e che Colianni, a quella votazione del cda, non aveva partecipato. In pratica i due non c’entravano niente.

Più complessa invece la valutazione dalla linea seguita dall’amministratore, specie considerato che il suo difensore – il quale, contattato telefonicamente, non ha voluto rilasciare dichiarazioni – in aula ha portato numerosi atti che consentirebbero una lettura differente, rispetto alle tesi dell’accusa. La difesa ha sottolineato il fatto che, prima di tutto, l’avvocato Di Stefano non ha mai messo in tasca un solo euro, cosa che peraltro è emersa in aula – tant’è che l’accusa è di aver distratto i soldi, non di essersene appropriato – ma che inoltre quei soldi sono stati utilizzati per acquisire una società che aveva ottenuto un finanziamento della 488/92 per un progetto similare a quello della Keiron. In questo modo, con una semplice variante a quel progetto la Keiron sarebbe riuscita a realizzare un importante commessa per la realizzazione di valigette di telemedicina, che avrebbero consentito, in sostanza, di effettuare accertamenti medici e diagnostici da remoto, attraverso la telemedicina, utilizzando dati da acquisire, per l’appunto, tramite le strumentazioni prodotte. Entrando in società, in pratica, si sarebbe conclusa la produzione di mille valigette dal costo medio di 8 mila euro ciascuna, dunque un progetto importante sul piano imprenditoriale e anche innovativo, per quegli anni; un progetto che peraltro aveva ottenuto in passato un importante finanziamento dal Ministero della Salute. Sta di fatto che poi vi fu l’istanza di fallimento, per la cifra di circa 300 mila euro, e la Keiron fu dichiarata fallita. L’inchiesta è stata condotta dalla Guardia di Finanza, anche sulla base della relazione presentata dal curatore fallimentare, con il coordinamento della Procura di Enna. Va evidenziato che quella emessa dal Tribunale collegiale del capoluogo ennese è una sentenza di primo grado, e che solo quando saranno depositate le motivazioni inizieranno a decorrere i termini per il ricorso in appello; già informalmente annunciato da fonti vicine alla difesa.

Dal canto suo il dottore Colianni, pienamente prosciolto, sottolinea di non aver mai dubitato che la sua innocenza sarebbe emersa. “Grazie all’ottimo lavoro svolto dall’avvocato Maccarrone, abbiamo dimostrato sino all’ultimo le ragioni della mia totale estraneità a questa vicenda – sottolinea Colianni -. Ecco perché nella vita bisogna sempre credere nella giustizia, mettersi nelle mani della giustizia e di persone che sanno fare il proprio mestiere egregiamente, come, per l’appunto, il mio legale. Ora la mia estraneità viene evidenziata da questa sentenza”.


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