CATANIA. ”Negli ultimi tempi stanno emergendo risvolti che con la lotta alla mafia non hanno nulla a che vedere. Risvolti che stanno portando l’antimafia sul banco degli imputati e io ritengo che ciò non sia giusto: nel mondo dell’antimafia ci sono persone valide che contrastano il fenomeno in maniera assolutamente disinteressata”. A parlare è Claudio Risicato, lo storico e combattivo presidente dell’associazione Rocco Chinnici di Confcommercio. Con lui, ci siamo ritrovati a parlare di un argomento più mai attuale: mafia e antimafia. E gli spunti offerto sono tutt’altro che banali: “Ci sono purtroppo, ahimè, anche personaggi che sfruttando l’ala della politica antimafiosa hanno raggiunto risultati per se stessi: siedono nei consigli d’amministrazione, hanno fatto carriera politica, ricevono consulenze e scorte di tutti i tipi”.
Ma vale anche per Catania?
“Vale. E ci sono, ad esempio, personaggi di Confindustria che le cronache dei giornali degli ultimi tempi hanno portato alla ribalta: anche se gli stessi non hanno ricevuto alcuna comunicazione giudiziaria. Ritengo, però, che la loro politica antimafia si sia limitata a qualche enunciazione di principio e tavola rotonda. Non hanno mai firmato una denuncia contro malavitosi o mandato sotto processo qualcuno implicato con la mafia”.
Mi dica, allora, della sua azione.
“Io sono presidente dell’associazione antiracket “Rocco Chinnici” dal 2008. Io ritengo che l’antimafia vera, quella che fa male alle organizzazioni mafiose, sia quella che manda in galera gli appartenenti all’associazione mafiosa e provochi condanne e sequestri di beni. E’ questa la strada che seguiamo. Assieme a diversi commercianti, che erano sotto usura e estorsione, abbiamo denunciato alcuni componenti del clan Puntina; ho contribuito a mandare in galera due appartenenti ai “mussi i ficudinnia”; mi sono costituto parte civile contro il clan Santapaola-Ercolano; ho fatto pressioni in Procura affinché si procedesse all’arresto immediato di noti pregiudicati della zona di Picanello che vessavano un imprenditore edile”.
Lei dice, quindi, che c’è anche un’altra antimafia?
“Altra cosa è l’antimafia che fa convegni, che fa carriera politica e che cerca contributi ai Comuni o alla Regione o che si accompagna a politici chiacchierati. Purtroppo, questa è l’antimafia che è fin troppo presente. E’ possibile che le autorità avallino ancora certe manifestazioni? Possibile che non si possa discernere? E questo non è solo un fatto catanese: ma riguarda l’antimafia italiana”.
La gente, secondo lei quanto ne è consapevole?
“La gente tende a fare di tutta un’erba un fascio anche perchè le cronache recenti non sono certo positive. L’argomento, ormai, è d’attualità”.
Come si è arrivati a far sì che l’antimafia divenisse una professione?
“Guardi, creare un’associazione antiracket è la cosa più semplice del mondo: basta andare da un notaio. Oggi a Catania ci sono circa una ventina di associazioni riconosciute dalla Prefettura e le posso dire che quelle che lavoriamo sul territorio, siamo quattro o cinque. E questa è una grande anomalia. Qualcuno si inventa un mestiere e diventa presidente di un’associazione antiracket: a me tutto questo non sta bene”.
Lei ci ha raccontato le “sue” battaglie sostenute finora: mi dice cosa accade tutt’attorno? Nel senso: quello che genericamente viene chiamato Stato, c’è? Esiste?
“Io posso dire che polizia, carabinieri e finanza funzionano in maniera egregia. La stessa cosa posso dire per la Procura di Catania. Il passo successivo è il giudizio degli imputati: c’è un sistema giudiziario, in Italia, che ha le maglie troppo larghe. La certezza della pena non viene garantita a nessuno ed il paradosso è che molti imputati condannati a sei, sette anni sono liberi in attesa dell’appello. Qualcuno è ai domiciliari ma in galera non c’è nessuno. Questo diventa drammatico per le vittime e per i commercianti che subiscono la vessazione della mafia: e, allora, nel dubbio non denunciano. Mi chiedo: cosa ci stanno a fare le associazioni antiracket se lo Stato ha allargato le maglie della giustizia? C’è, poi, il ristoro dei danni: e tante volte le prefetture non riescono a comprendere l’importanza di fare celermente: il risultato è che alcune aziende chiudono”.
In ultimo, usura e racket: quanto è alta l’incidenza a Catania e provincia?
“Altissima. Più l’usura che il racket. E si tratta di fenomeni a tappeto, nonostante gli enormi risultati delle forze di polizia. E si tratta anche si un fenomeno psicologico perchè quando il malavitoso impone il pizzo è come se dicesse a tutto il quartiere: “Qui comando io”. E’ questo il dramma nel dramma”.

