PALERMO – Difficile fare una stima, ma la stragrande maggioranza degli esercizi commerciali ha riaperto. Una piccola parte è rimasta chiusa per sistemare le ultime cose. Il decreto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la conseguente ordinanza del governatore siciliano Nello Musumeci sono arrivati last minute.
“Il via libera ufficiale non può essere disposto poche ore prima – dicono il presidente della Confederazione siciliana degli artigiani, Nello Battiato e il segretario Piero Giglione –. La ripresa di un’attività non è come la chiusura, non basta un decreto o un’ordinanza per tornare subito al lavoro. Quello che forse non si è ancora ben compreso – aggiungono – è che le attuali dinamiche politico-burocratiche non rispondono assolutamente ai tempi e alle esigenze del contesto imprenditoriale e del tessuto economico. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti”.
Chi non era pronto oggi, lo sarà nei prossimi giorni. Ma è a coloro che non torneranno più al lavoro che si guarda con preoccupazione. Nel primo trimestre del 2020 (gennaio, febbraio e marzo) hanno chiuso 22 mila esercizi commerciali in Sicilia (il totale degli attivi è di 367 mila), oltre quattromila e quattrocento saracinesche abbassate per sempre a Palermo e provincia.
“E non sono certo chiusure dovute all’emergenza Covid, piuttosto alla crisi del 2019 visto che quando si chiude bisogna rispettare le procedure burocratiche che richiedono tempo”, dice Patrizia Di Dio, presidentessa di Confocommercio Palermo. La previsione, dunque, se mancano i dati sulle chiusure causate dall’emergenza sanitaria, si fa nerissima: si calcola che il lockdown potrebbe portare entro giugno alla chiusura di 15 mila negozi a Palermo e 60 mila in tutta l’Isola.
“Oggi abbiamo riaperto, ci giochiamo tutto. Chi è rimasto chiuso si adeguerà nei prossimi giorni alle nuove disposizioni – aggiunge Di Dio -. Chi era in piedi prima del Covid ci proverà con tutte le forze. Solo nel prossimo trimestre si capirà come reagirà il mercato”. La gente oggi è andata in giro. Sì sono viste anche delle file ma è presto per fare un bilancio. Ha ragione Di Dio quando dice che i prossimi mesi saranno decisivi.
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La verità è che si cerca di scavare con le unghie per trovare una via di uscita. Oggi per molti è stata “una rinascita, si respira una certa fiducia e i consumi si nutrono di fiducia. Si avverte un clima di solidarietà. La comunità dei consumatori farà la sua parte, aiutando il commerciante sotto casa, ha compreso che bisogna stare vicino a chi sta rischiando, oltre alla propria salute, anche il lavoro”.
Ma serve altro, molto altro. Lo sa bene Patrizia Di Dio: “Finora abbiamo giocato con i soldi del Monopoli. Per i prestiti a fondo perduto di cui parla il governo nazionale neanche sono arrivati i moduli. La cassa integrazione nella maggior parte dei casi non è stata pagata, un’ampia platea non ha potuto accedere al fondo di garanzia. Dei soldi previsti dalla Finanziaria regionale non è stato rilasciato neppure un euro. Per questo diciamo che si è perso tempo. Si poteva già aprire il 4 maggio, il rinvio è stato immotivato. Hanno aperto le industrie e i cantieri del Nord, oltre 2 milioni e 400 mila persone e siamo rimasti fermi noi. Circa 800 mila lavoratori”.
Il passato è rovinoso. E il futuro? “La politica deve fare presto, altrimenti sarebbe irresponsabile. Noi ci stiamo provando, ma senza la buona politica i numeri saranno catastrofici”.