Brancaccio, 23 vittime del racket | Una sola si costituisce parte civile - Live Sicilia

Brancaccio, 23 vittime del racket | Una sola si costituisce parte civile

Il processo alla mafia di corso dei Mille. Le associazioni antiracket: "Tornati all'anno zero".

PALERMO – Ventitrè vittime del pizzo, una sola che si costituisce parte civile. “Torniamo all’anno zero” dicono dalle associazioni antiracket. I numeri parlano chiaro: 53 imputati, 23 persone offese e una sola parte civile al processo contro le cosche di Brancaccio e Corso dei mille. L’udienza preliminare si sta svolgendo davanti al giudice Guglielmo Nicastro. Un anno fa il blitz dei poliziotti della Squadra Mobile e dei finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Palermo fecero emergere la capacità di Cosa nostra di condizionare grosse fette della società con minacce, danneggiamenti, estorsioni e furti.

In carcere tornò il boss Pietro Tagliavia, che dagli arresti domiciliari dettava legge sul mandamento mafioso di Brancaccio e sulla famiglia di corso dei Mille. Avrebbe gestito il traffico di droga, il sostentamento dei detenuti e dei loro nuclei familiari anche attraverso un ramificato gruppo di imprese del settore degli imballaggi.

Gli investigatori ricostruirono l’organigramma delle famiglie mafiose. Spiccavano le figure di Claudio D’Amore, Bruno Mazzara e Giuseppe Lo Porto, (fratello di Giovanni, l’operatore umanitario sequestrato da Al Qaeda nel 2012 e assassinato tre anni dopo durante un’operazione antiterrorismo degli Usa) tutti collaboratori di Tagliavia; Francesco Paolo Clemente, Francesco Paolo Mandalà, Gaetano Lo Coco, incaricati del controllo delle numerose aziende, tutte intestate a prestanome, utilizzate per realizzare le frodi di natura fiscale, conseguendo il monopolio regionale e una posizione dominante nel restante territorio nazionale nella commercializzazione degli imballaggi industriali; Giuseppe Caserta e Cosimo Geloso, rappresentanti della famiglia di Brancaccio ed infine Giuseppe Mangano, Giuseppe Di Fatta e Antonino Marino, titolati rappresentanti della famiglia mafiosa di Roccella.

“È semplicemente una vergogna per tutta la città di Palermo che dopo tanti anni di lotta e contrasto al racket si sia tornati all’anno zero – dicono gli avvocati Ugo Forello e Valerio D’Antoni che assistono la parte offesa – l’azione incessante nell’ultimo decennio della Federazione antiracket e del comitato addiopizzo ha dimostrato che ci si può opporre, schierandosi dalla parte delle regole, della sana cultura d’impresa e della correttezza. Lo dicono i risultati processuali, le dichiarazioni stesse dei pentiti, gli aiuti che lo stato ha fatto avere con tempismo grazie anche ad un lavoro di squadra con le associazioni antiracket che operano seriamente nel territorio.

La verità – aggiugono – è che non ci sono piu alibi, non ci sono piu scusanti, rimane soltanto questo spaventoso silenzio, questa odiosa omertà, dietro la quale si cela la subcultura della compiacenza, della contiguità alla mafia, del pizzo come prezzo di un accordo viscido e sotterraneo per assicurarsi una protezione illecita nel prorpio mercato di riferimento. La speranza è l’ultima morire e c’è sempre tempo per riscattarsi ed esporsi in prima linea contro i mafiosi, contro le protezioni illecite, contro l’arroganza di chi vuole imporre la sua idea di mercato e di città. Una città oggi più che ieri senza libertà e senza dignità”.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI