PALERMO – La “massoneria coperta” potrebbe avere fatto da “stanza di compensazione tra Cosa Nostra ed ambienti imprenditoriali” che avevano “il comune interesse a bloccare le attività di indagine che il dottor Borsellino avrebbe potuto approfondire su questo specifico filone”.
Il dossier “Mafia e appalti”
E cioè il dossier “Mafia e appalti” che scandagliava i legami fra i costruttori mafiosi palermitani Buscemi e Bonura e le imprese che gestivano le cave di marmo in Toscana, e aveva acceso i fari sugli affari con il gruppo Ferruzzi che sarebbe stato poi travolto da Tangentopoli.
Da questo muove l’indagine della Procura di Caltanissetta che stamani ha disposto una serie di perquisizioni nelle abitazioni in cui ha vissuto l’ex capo della Procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, deceduto nel 2017, e dove vivono i suoi figli. I carabinieri hanno trovato una borsa con dei documenti che adesso saranno spulciati. Cercavano anche, e soprattutto, l’agenda rossa di Borsellino.
La riunione con Riina e Messina Denaro
Il capo dei pm nisseni Salvatore De Luca, l’aggiunto Pasquale Pacifico e i sostituti Nadia Caruso, Davide Spina e Claudia Pasciuti provano a riannodare i fili del passato, partendo dal 1997. È l’anno in cui Giovan Battista Ferrante, mafioso di San Lorenzo, divenuto collaboratore di giustizia, racconta che “nel periodo estivo del 1995 Salvatore Biondo, detto il corto (capomafia di Tommaso Natale e stragista ndr) raccontò che in epoca successiva alle stragi di Capaci e via D’Amelio si era tenuta a casa sua a una riunione”.
“Solo per me non avremmo fatto niente”
Vi avevano preso parte “Salvatore Riina, Salvatore Biondino e Matteo Messina Denaro”. Finita la riunione, rimasto solo con Biondo, Riina pronunciò la frase: “Se era solo per me non avremmo fatto niente”. Fu lo stesso Biondo a riferirlo successivamente in carcere a Ferrante che non ebbe dubbi: nessun mafioso poteva dare ordini al capo dei capi dunque dovevano per forza esserci “uomini che stavano al di fuori di Cosa Nostra”.
“I massoni hanno voluto
Un anno dopo nel 1998, sempre davanti ai pm della Procura di Caltanissetta, Ferrante aggiunse che la stratega delle stragi aveva portato solo guai alla mafia. Rispondendo a Messina Denaro, che sottolineava insospettito la reazione dello Stato, Riina si era sfogato: “I massoni vosiru ca si fici chistu (i massoni hanno voluto che si fece questo ndr)”. È, dunque, nella massoneria che vanno rintracciati i “mandanti esterni” delle stragi?
Nel 2013 nel corso di uno dei tanti colloqui fra Totò Riina e Alberto Lorusso registrati durante l’ora d’aria in carcere, il corleonese sanguinario aveva definito Stefano Bontate, boss di Villagrazia, ucciso nella guerra di conquista del potere, il “capo siciliano della massoneria, lui, insieme ad altri due: Concutelli e un altro ricco palermitano”.
Se il dossier “Mafia e appalti” potrebbe essere stata la causa dell’accelerazione della strage di via D’Amelio allora, secondo i pm, va sottolineato che il fascicolo a cui lavoravano Borsellino e i carabinieri del Ros “aveva messo in luce l’esistenza di rapporti” fra imprenditori, palermitani e nazionali, e la mafia.
E tra gli imprenditori citati nel rapporto c’erano “soggetti certamente inseriti in contesti massonici” come il medico Antonino Cinà e i costruttori Buscemi (figure chiave del dossier “Mafia e appalti”).
Ombre su Tinebra
I recenti processi sul depistaggio delle indagini sull’eccidio del 1992 hanno gettato ombre sull’operato di Giovanni Tinebra che guidava la procura di Caltanissetta quando fu “confezionato” il falso pentito Vincenzo Scarantino. Dai suoi rapporti con il superpoliziotto, Arnaldo La Barbera che del depistaggio viene indicato come il regista, “all’irrituale e per certi versi inquietante coinvolgimento nelle attività dei servizi di sicurezza e in particolare il dottor Bruno Contrada” chiamati a indagare sulle stragi.
Alla fine degli anni Novanta un altro collaboratore di giustizia, Angelo Siino, il cosiddetto ‘ministro dei lavori pubblici’ di Cosa Nostra, raccontò dei suoi rapporti con il massone Salvatore Spinello e il commercialista della mafia Giuseppe Mandalari.
In una vecchia intercettazione riletta ora dai pm nisseni Spinello diceva: “Tinebra è dei nostri… della loggia di Nicosia… Io non vado ad abbracciarlo pubblicamente per non comprometterlo”.
Lo descriveva “come un personaggio tuttora estremamente in auge in Sicilia, in una posizione di grande rispetto… sono quelli che possono determinare tutto”. Tinebra avrebbe fatti parte di una loggia massonica coperta.
Pochi mesi fa i pm hanno sentito Costantino Miserendino, storico autista del procuratore Tinebra. Ha detto di non avere mai accompagnato Tinebra a riunioni della massoneria, “ma so che si incontrava con persone che si diceva essere massoni, mi riferisco al dottore Murè e al dottor Mancuso che erano rispettivamente primario e vice primario all’ospedale di Nicosia”.
Il primo è morto, mentre il secondo è stato sentito dai pm e ha negato di essere un massone. “L’appartenenza quantomeno di Alberto Murè alla loggia massonica di Nicosia – scrivono i pm nel mandato di perquisizione – è confermata da una lettera sequestrata a Spinello e inviata a Murè”.
Il giallo dell’agenda rossa
Infine un nuovo elemento si aggiunge nel giallo della scomparsa dell’agenda rossa di Poalo Borsellino. I pm hanno trovato alla squadra mobile di Palermo un appunto dattiloscritto da Arnaldo La Barbera, datato 20 luglio ’92.
C’è scritto “consegnato a Tinebra uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenenti al giudice Borsellino”. “Gli specifici accertamenti svolti da quest’ufficio – dicono dalla procura nissena – non hanno consentito di verificare che detta consegna sia effettivamente avvenuta nelle mani del dottor Giovanni Tinebra, né che l’agenda in questione fosse effettivamente l’agenda rossa e non altra agenda appartenuta al dottor Borsellino”.

