CATANIA. Chiunque della mia generazione ha avuto tra le mani una sua cassetta nella quale erano incise le gag irripetibili di Padre Tamarindo, del mago Mpracchiapareddi, del ragioniere Lattuga o dell’arrangiamento audace e geniale di “Mi stuppai na Fanta”. C’era chi storceva il naso. Oggi comprendiamo, invece, quanto genio e quanta sana leggerezza ci fosse in quel contesto audace e per certi versi irripetibile. A leggere i tempi che stiamo vivendo, quanto ci sarebbe bisogno oggi del suo modo ingenuo e dissacrante col quale ha raccontato l’auspicio allegro del popolo siciliano.
Brigantony non c’è più. Al secolo, Antonino Caponnetto, se ne va a 74 anni dopo avere esportato nel mondo la lingua siciliana e nell’autorevolezza dell’essere (appunto) leggeri e geniali. Lo abbiamo visto esibirsi fino al Madison Square Garden di New York, eppure è sempre rimasto quello di sempre. Umile e disponibile verso la sua gente.
“Una volta non è che c’erano case grandi, vivevamo ‘mungiuti’ e io mi trovavo uno spazio e scrivevo canzoni: accuminciai accussì”, mi disse una volta in tutta la sua generosa spontaneità in un’intervista prima di un’esibizione a Cibali, il suo quartiere.
Con la scomparsa di Brigantony si chiude una pagina unica della storia catanese e siciliana.
E ci mancherà. Mancherà tantissimo. Anche a chi prima storceva il naso.