Catania, la testimonianza di Antonella: in lotta con la Sla

Catania, la testimonianza di Antonella: madre e moglie in lotta con la Sla

Un racconto a cuore aperto: una battaglia dura e quotidiana

CATANIA – Antonella Città ha compiuto da poco 50 anni. Figlia speciale della nostra città ed infaticabile madre e moglie: nel 2014 scopre, all’improvviso, di avere la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
Da lì comincia una battaglia dura e quotidiana.
Antonella è tenace e coraggiosa. La incontriamo tentando di raccontare una storia che possa essere testiminanza ed allo stesso tempo suo personale dono verso chi, come lei, convive con questo “mostro”.

Sei nata a Catania il 21 settembre del 1973. Quali sono i tuoi primi ricordi della nostra città? Com’era Catania negli anni in cui iniziavi ad affacciarti al mondo?

“Catania, quando ero piccola, la ricordo sempre bella come lo è oggi, ma con molta meno spazzatura rispetto ad oggi, con le persone molto più educate, che tenevano alla propria città. Ricordo che la nostra maestra ci portava in giro a visitare i monumenti più importanti, ci spiegava la storia e io rimanevo affascinata. I miei genitori invece mi portavano a giocare alla Villa Bellini e insieme facevamo delle foto ai meravigliosi cigni. Ammiravamo il verde prato curato dai giardinieri, che con estrema bravura disegnavano l’ora dell’orologio. Andavamo in pescheria, passando per la fontana dell’Amenano, ed io guardavo sbalordita i pescivendoli che, gridando a loro modo, vendevano il pesce, e mio padre mi diceva con gioia i termini dialettali di porta Aci e di tutto il resto. Ogni anno, il 4 di febbraio, alle 5 del mattino, partecipavamo alla bellissima festa dell’aurora, ed essendo io una fedele devota, seguivo con coinvolgimento tutta la festa della padrona di Catania, Sant’Agata”.

Chi ti conosce da quando eri piccola, come i tuoi fratelli più grandi Anna e Giuseppe, sa che hai iniziato a camminare a 9 mesi, sulla spiaggia di Fondachello. Com’era Antonella da piccola?

“Antonella da piccola era una bambina affettuosa, premurosa e determinata. I suoi fratelli erano gioiosi di avere una vera bambola tutta per loro in casa. Prima di andare a scuola, Giuseppe gli cambiava il pannolino e la vestiva. Il pomeriggio invece si giocava tutti insieme. Antonella da bambina amava molto la musica. Imparava perfettamente tutte le canzoni dei cartoni animati a memoria e imitava Heather Parisi, ballando e facendo spaccate, verticali e capriole. Era bravissima con l’hula hoop, praticamente instancabile. Una bambina allegra e solare insomma, ed allo stesso tempo molto ordinata e precisa”.

La scuola non ti piaceva molto, ed alla fine del terzo anno di ragioneria ad attenderti c’era una sonora bocciatura. Nonostante questo tu sognavi di diventare psicologa, e col senno di poi avresti voluto iscriverti al magistrale. Da cosa nasceva questo desiderio? Quali erano i tuoi sogni?

“Il sogno di diventare psicologa era legato al desiderio di aiutare le persone a parlare. Ascoltare chi ha bisogno, mettersi nei loro panni, per me è importante, fondamentale, per provare ad aiutarli a fidarsi della vita e del prossimo. Nel 2010 sono tornata tra i banchi di scuola ed ho studiato psicologia: 750 ore di lezioni, per prendere un attestato di Operatore di Ludoteca. Voto 110 su 110. In parte ho realizzato il mio vero sogno, che era proprio quello di lavorare con i bambini. Durante il corso ho fatto uno stage con i piccoli della scuola materna “Mammola” e con i disabili ODA. Una bellissima esperienza”.

Poi hai lavorato per 7 anni come sarta di tende da sole, per una fabbrica locale, al tavolo da taglio, e successivamente come rappresentate per una nota azienda di contenitori per alimenti. Cosa ti piaceva di questi lavori? Com’era Antonella in quegli anni?

“Quando lavoravo come sarta di tende da sole, il mio compito era al tavolo da taglio, lavoro di precisione e responsabilità, per la corretta misura della tenda. Appena finivo, aiutavo le mie tre colleghe. Finivo la giornata pulendo alla perfezione tutto, e passando l’alcool nei macchinari che luccicavano. Ricordo bene ancora una bella mattinata con gli alunni di una scuola,  ai quali ho spiegato il valore del lavoro artigianale, con tutti i procedimenti necessari. Alla fine ero veramente soddisfatta per i complimenti  dell’insegnante.

Quando svolgevo il lavoro di rappresentante invece, mi piaceva molto interagire con le persone e spiegare loro l’utilizzo dei vari contenitori della mia azienda. Per me era come una festa: preparavo i maffin, scecheravo il caffè e facevo tante altre cose affinchè tutto fosse perfetto. Ma quello che mi dava più soddisfazione era lasciare, alla fine dell’incontro, il regalo per “l’ospitalità” alla padrona di casa. E’ stato davvero un bellissimo periodo per me quello: ero serena, vitale, allegra…”

Hai sempre amato ballare, giocare con i tuoi figli e cucinare, soprattutto per le persone a te care. Ci racconti quali erano i tuoi piatti preferiti? Avevi dei “cavalli di battaglia” in cucina?

“I miei piatti preferiti sono le lasagne, le farfalle al pistacchio, gli involtini di carne, il pollo al forno, le orate al cartoccio, i gamberoni e le cozze. Inoltre mi piacciono molto le crocchette di patate, l’ insalata di fagiolini, l’insalata di riso, e tanto altro. Insomma, sono una buona forchetta. Ero bravissima a cucinare la torta all’ananas, i biscotti, il tiramisù e i muffin, sia dolci che salati. Mi rendeva proprio felice poter condividere con tutti le mie pietanze”.

Nel 2014, al San Raffaele di Milano, ti hanno diagnosticato la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una terribile malattia, degenerativa progressiva, che come racconti tu “Ti toglie tutto, tranne il cuore e la mente.”. Ti va di raccontarci quali sono stati i primi pensieri che ti sono passati per la testa quando hai realizzato tutto ciò?

“Non è stato facile avere una diagnosi. Tutto è inziato con un dolore insopportabile alla pianta del piede destro che mi ha spinto ad indagare. Sono stata controllata da cinque neurologi che, per due anni e mezzo, mi hanno detto che ero depressa, e chissà che non fosse anche vero.
Poi si sono susseguiti vari accertamenti, che ho vissuto come delle torture: elettromiografia ai quattro arti e sulla lingua, risonanze magnetiche (anche al buio), ellettroencefalogramma e tanti soldi spesi senza mai avere una risposta. Finalmente alla fine arrivo a Milano dove, dopo un mese e mezzo lontana da casa e dai miei figli, mi hanno diagnosticato la SLA. In quel momento mi sono sentita letteralmente “finita”.

Ciò che sarebbe successo realmente, lo avrei scoperto solo strada facendo, in quel preciso momento però iniziava il mio calvario,  la mia vita da “malata”. Nel 2015 ero già costretta sulla sedia a rotelle, perché non riuscivo più a camminare. Dopo aver appreso quale sarebbe stato il decorso della malattia, mi hanno anche detto che più avanti avrei dovuto rinunciare anche al cibo, così ho deciso di approfittare di quegli ultimi momenti a mia disposizione per godermi ancora le leccornie siciliane. Infatti, ogni mattina, mangiavo una brioche col gelato al cioccolato, abitudine questa che mi ha portato ad un aumento di peso improvviso, con tutte le conseguenze del caso.

Ma con il senno di poi mi dico ancora oggi che ne è valsa la pena! Nonostante tutto quello che ho vissuto e che mi è capitato fino ad oggi, non ho mai detto: “Perché a me?”, anzi, ho ringraziato sempre Dio, perché tutto questo non stava accadendo ai miei figli. Non avrei potuto sopportare un dolore simile. Ho legato belle amicizie nei vari ricoveri, Milano, Mistretta, Acireale, Nemo e Torino, dove ho fatto il prelievo del midollo spinale.

Hai un affettuoso marito al tuo fianco, Filippo, e due meravigliosi figli, Francesco Pio e Maria Chiara, che non hanno mai smesso di starti accanto. E’ stato difficile per voi trovare un equilibrio familiare dopo la scoperta del 2014? Cosa significa essere moglie e madre per te oggi?

“La mia malattia ha sconvolto il nostro equilibrio familiare: è arrivata come un fulmine a ciel sereno nella nostra vita. Io mi sono sentita improvvisamente in difficoltà a fare tutto, impotente. Camminavo barcollando, cadevo spesso e non avevo più l’uso delle braccia e delle mani. L’angelo della casa aveva smesso di svolgere le sue attività quotidiane.

I miei figli, ancora piccoli, speravano che tornassi presto a stare bene. Francesco Pio mi diceva, con le lacrime agli occhi: “Mamma, alzati dalla sedia a rotelle e balliamo come prima!”. Maria Chiara, mi cantava canzoncine per farmi stare bene e mi teneva allegra. Che amore di figli! A Filippo, mio marito, è crollato il mondo addosso, letteralmente. Adesso doveva pensare non solo a lavorare, ma anche ad accompagnare i nostri figli a scuola, a fare la spesa, e tutto il resto, da solo. La mia mamma, da poco vedova, ha dovuto affrontare il dolore di una figlia quarantenne malata e trasferirsi a casa mia. Ci siamo messi subito alla ricerca di badanti che potessero prendersi cura di me. In questo modo ho detto definitivamente addio alla mia privacy, ed ho capito quanto sia terribile dipendere dagli altri, qualcosa di veramente inimmaginabile, per chi non ci passa e non lo vive in prima persona.

Anche le cose più semplici, come grattarsi la testa, sono diventate per me impossibili, con l’aggravante della mancanza della parola. Ho dovuto avere tanta pazienza, anche per imparare cose semplici, come scrivere una mia necessità col puntatore ottico. Oggi per me essere moglie e madre è una vera e propria “missione”. Mi impegno con amore giorno per giorno e, grazie a Dio che mi dà la forza di non arrendermi, cerco di trasmettere coraggio alla mia famiglia. Provo infatti, a mio modo, ad essere comunque presente, con la mente e con il cuore.

Faccio il possibile, attraverso i messaggi che riesco a scrivere, per dare consigli, o aiutare con la lista della spesa, ad esempio, per cercare di mantenere la mia famiglia unita, magari invitando amici e parenti a trascorrere del tempo a casa con noi, per farci un po’ di compagnia. Mi sta molto a cuore comunque tentare di fare capire a tutti che abbiamo un Padre che dall’alto si prende cura dei suoi figli, noi: Dio è Amore, e ringrazio sempre lo Spirito Santo per questo”.

La tua storia ed il tuo coraggio presto saranno raccontate in un libro, che certamente sarà da esempio e conforto per molte altre persone che come te si troveranno a fare i conti con questo “mostro”. Ti va di parlarcene?

“Grazie alla mia ex logopedista, Marta, giovane, bravissima e dolcissima dottoressa, che ha iniziato da me e con me a conoscere di persona la SLA, la mia storia sarà raccontata in un piccolo libro. Grazie a lei ho imparato a svolgere degli esercizi che inizialmente potevano sembrare banali, perchè non riuscivo più a muovere la lingua nè a dare un bacio. Solo dopo qualche anno ne ho compreso veramente il valore. In questo piccolo libro proverò a raccontare, in parte, la mia vita precedente e la mia vita attuale”.

La tua forte fede in Dio non ti ha mai abbandonato, nonostante le difficoltà e le sfide quotidiane che hai dovuto e continui ad affrontare quotidianamente. Come se riuscita a conciliare con serenità i dubbi della ragione con le certezze della fede? Dove hai trovato questa forza? Qual’è il tuo segreto?

“In questi ultimi anni la mia fede in Dio è aumentata. Mi sono totalmente abbandonata alla Sua Volontà. Tutto questo grazie all’Amore di Gesù, che mi dà la forza di portare quotidianamente la croce con il dono del sorriso. Tutto questo grazie anche all’attenzione e all’amore  di mio marito Filippo, e dei miei  figli Maria Chiara e Francesco Pio, che mi danno, giorno per giorno, coraggio e voglia di vivere. Il segreto della vita, secondo me, sta nel saper vivere bene l’attimo presente, nell’essere capaci di amare tutti e nel lasciarsi circondare da persone amorevoli.

D’altronde non è semplice restare “crocifissa” a letto, per nessuno, ed io lo sono da maggio del 2019. Per questo per me oggi è importante avere serenità, parole d’affetto ed amore da parte di tutti. Ho anche la fortunata di avere delle brave signore che si prendono cura di me, e amiche che vengono spesso a trovarmi per pregare insieme, facendo il Santo Rosario. Io sono felice di poter partecipare alle litanie, ripetendo, con la voce del computer, “Prega per noi!”.

Mi rendono felice quei momenti in cui ho la possibilità di offrire un caffè, un succo di frutta o un dolce ai miei ospiti. Per tutto questo ringrazio Gesù, chiedendogli di benedirmi ogni giorno. La “croce” porta alla Resurrezione, alla Vita Eterna. Come recita un salmo che amo molto, “Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà”.


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