PALERMO – “Al gioco del Trono si vince o si muore”. Lo sanno bene le casate del regno del centrodestra in guerra tra loro nell’ultimo scorcio di legislatura che consegna un quadro frammentato della coalizione che cinque anni fa espugnò Palazzo D’Orleans. E’ soprattutto chi siede sul trono (arroccato nel suo quartiere generale in compagnia dei fedelissimi) ad incassare i colpi sferrati da Gianfranco Miccichè. La guerra dentro Forza Italia è il centro nevralgico dello scontro che investe il governo.
I fronti di guerra
La settimana palermitana è stata scandita da una raffica di colpi di scena in casa azzurra con due fazioni l’una contro l’altra armata che dall’elezione del nuovo capogruppo che si giocherà a suon di carte bollate fino all’azzeramento delle commissioni si sono sfidate senza esclusione di colpi. Ricucire sarà difficile. I frondisti non vogliono subire in silenzio e provano a giocare su Roma e Milano sfruttando i legami di ferro che intrattengono con diversi big di portata nazionale: Armao ha già visto giovedì Tajani, Falcone Pellegrino e Caputo godono del canale privilegiato con Gasparri, Gallo Zambuto e La Rocca Ruvolo si affidano a Dell’Utri (che non ha fatto mistero di giocare la partita direttamente sul campo siciliano). Il sogno, nemmeno tanto inconfessabile, è quello di affiancare al coordinatore regionale altri due commissari: una partita non semplicissima da vincere. Il colpo di teatro dell’azzeramento ha fatto infuriare anche il senatore Schifani, noto per sua la pazienza elefantiaca.
Nervi tesi e nuovi ingressi
Insomma, i nervi restano tesi e qualcuno paventa di rispondere all’azzeramento delle commissioni facendo tabula rasa degli uomini di Miccichè distribuiti nei gabinetti degli assessori. L’8 e il 9 di aprile si dovrebbe tenere una kermesse organizzata dal partito nazionale e i deputati regionali sono pronti a staccare il biglietto per sondare il terreno. La guerra interna agli azzurri è soprattutto una lotta per la leadership del partito siciliano soprattutto in vista della compilazione delle liste per le regionali e per le politiche (del 2023 che vedranno una significativa riduzione dei posti per via del “taglio” dei parlamentari ratificato dal referendum). Lo dimostrano i malumori non più carsici che ha scatenato l’intesa con i dioscuri futuristi D’Agostino e Tamajo, due campioni delle preferenze che insidiano il primato di più di un uscente azzurro sia nel catanese (Papale) e sia nel palermitano (Savona e Caputo). Una variabile che creerebbe già un problema in caso di ingresso all’interno del gruppo all’Ars come palesato nei giorni scorsi. L’attacco alla diligenza in Forza Italia fa da contraltare alla stessa operazione, del fronte avversario, a quella che guida la Regione.
Aspettando Roma
Il Musumeci bis è uno degli argomenti del contendere e nell’incertezza generale l’unica sicurezza riguarda il fatto che la compagine di governo (con il fronte FdI-Db sempre più isolato) esce duramente provata dalle bordate orchestrate da Miccichè e i suoi, tanto che si vocifera che il presidente vorrebbe tenere per sé la delega alla formazione e non assegnare l’assessorato lasciato libero da Lagalla (sceso in campo per la poltrona di sindaco di Palermo) ad altre forze alleate (un errore tattico che gli alienerebbe ulteriormente il supporto di potenziali supporter per la causa del bis). L’incontro tra Salvini e Meloni non ci sarà nemmeno questa settimana. E così si sta come in autunno, sugli alberi le foglie. Aspettando Roma. Aspettando Godot.
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