PALERMO – La Regione lo assume. Afferma di avere bisogno di lui, delle sue qualità. Dopo quindici anni, però, qualcuno si accorge che le modalità utilizzate per quell’assunzione non erano conformi alla legge. E così, il dirigente è condannato a restituire oltre 200 mila euro. E rischia il pignoramento della casa. La storia affonda nel passato, ma gli effetti sono presenti, eccome. E sono stati anche raccontati da una interrogazione all’Ars dal Movimento cinque stelle, che ha puntato il dito contro Rosalba Alessi, liquidatore della società Espi. Contro l’azienda in eterna liquidazione, infatti, il dirigente ha avanzato una richiesta di risarcimento da mezzo milione di euro.
La storia di Gaetano Zangara, infatti, è anche la storia di uno dei rari successi della “Regione imprenditrice”. Dal 1984 al 1998 è lui infatti l’amministratore delegato della Casa Vinicola Duca di Salaparuta. Quella, per intenderci, che inizierà a produrre il vino Corvo. Successi, quelli, raccolti nelle cronache dei giornali, nelle lettere di gratitudine inviate a Zangara dalle più alte cariche istituzionali nazionali e regionali. Lettere che il dirigente conserva gelosamente e mostra con un po’ di imbarazzo. In quegli anni la casa vinicola è quasi interamente controllata dall’Espi, la società regionale che avrebbe dovuto tradurre in realtà – insieme ad altre – il sogno di una Sicilia che “produce” da sé. E che quasi sempre si tradurrà in un fallimento. Non è così per la Duca di Salaparuta, dove Zangara approda giungendo dalla Resais nel 1984 proprio in seguito alla decisione di Espi che controllava entrambe le società. Una sorta di “mobilità” tra le aziende della stessa “holding” pubblica. E che si sarebbe ripetuta in diversi casi, passati però sotto silenzio. Una richiesta, quella del trasferimento di Zangara, alla quale – stando all’atto di citazione preparato dal legale del dirigente, Gaetano Armao – la “Duca di Salaparuta” non poteva che “obbedire”, visto che, appunto, l’Espi era proprietaria della quasi totalità delle quote societarie.
Insomma, Zangara viene trasferito. Inizia a lavorare. Lo farà per oltre 14 anni, fino all’arrivo alla guida della casa vinicola di Roberto Merra, suocero di Gianfranco Micciché, già allora leader di Forza Italia e vice ministro. Zangara entra in “rotta” col nuovo amministratore unico e si dimette per giusta causa. L’inizio della fine.
Dopo una prima causa che riconoscerà a Zangara il diritto alla “indennità sostitutiva del preavviso”, in appello e in Cassazione il dirigente viene condannato a restituire quella cifra nel frattempo più che raddoppiata a causa degli interessi. A Zangara, che era stato assunto alla casa vinicola per volere della Regione, vengono chiesti indietro oltre duecentomila euro, senza contare le spese legali che nel frattempo erano salite a oltre 50 mila euro. Una “stangata” che rischia di avere effetti durissimi sul dirigente. Che si sfoga: “Qual è la mia colpa? Io lavoravo già nelle società regionali dal 1965. Mi hanno chiesto di andare altrove, mi hanno spiegato che volevano me, per le mie qualità. E adesso, dopo aver lavorato, e bene, per quasi quindici anni nella Duca di Salaparuta, devo restituire una somma del genere? Perché?”.
Il perché, in realtà, è dovuto a una legge del 1976 che riguarda le società partecipate dal pubblico, per le quali i trasferimenti dei dirigenti – il discorso non vale per i dipendenti ‘semplici’ – deve avvenire in seguito a una procedura di selezione. Un passaggio ignorato in quegli anni dall’azienda. E messo in luce dal liquidatore Rosalba Alessi, che decide, quindici anni dopo quell’assunzione, di andare al “muro contro muro” nei confronti di Zangara. Al punto da opporsi a una proposta dell’allora presidente della commissione Attività produttive Salvino Caputo che proponeva una interpretazione autentica della legge del 1976, “salvando” i casi come quelli di Zangara. La Alessi, impegnata in una delle più lunghe e redditizie liquidazioni di un ente regionale, dice no persino alle richieste di conciliazione avanzate dal dirigente. La causa così è andata avanti per 17 anni. E si è conclusa pochi mesi fa. A 32 anni dall’assunzione “incriminata”.
Ma la storia non si è chiusa. Perché Zangara, dopo lo sconforto iniziale, ha deciso di dare battaglia. “Lo faccio per i miei figli”, spiega. E, assistito dall’avvocato Armao, ha deciso di chiedere un mega-risarcimento all’Espi: 500 mila euro per i danni subiti in seguito agli errori commessi da quell’azienda regionale. “L’intera carriera di Zangara – si legge nell’atto di citazione – è stata condizionata dalle istruzioni che l’Espi ha impartito alle società controllate”. E l’atto ripercorre la storia del dirigente, che ha seguito le indicazioni impartite fin dal 1965 dall’Espi. Fino a quell’assunzione alla “Duca di Salaparuta”. “L’ente – sottolineano gli avvocati di Zangara – nel momento in cui ha impartito la direttiva relativa all’assunzione, non poteva non sapere che tale condotta fosse posta in essere in patente violazione della normativa citata”. Assunzione voluta con una direttiva della società alla quale i dirigenti della “Duca di Salaparuta” non potevano opporsi se non volevano rischiare conseguenze, tra cui la revoca dell’incarico dell’amministratore. Insomma, è stata l’Espi, secondo Zangara, a creare un danno al dirigente, costretto oggi a restituire una cifra elevatissima a causa di quella assunzione “non perfetta”. E così, ecco la richiesta del risarcimento richiesta all’Espi guidata da Rosalba Alessi. Un caso finito anche in un’interrogazione parlamentare del Movimento cinque stelle: “Il governo che intende fare – chiedono i deputati grillini – di fronte a questa richiesta di risarcimento? Ed è al corrente dell’esistenza di tanti casi simili a quello di Zangara?”. La storia è lunga, insomma, ma non è ancora finita.