PALERMO – “Questo cornuto me la pagherà”, disse l’architetto del Comune rivolgendosi a un collega della persona da lui presa di mira. Ce l’aveva con il carabiniere che lo aveva multato perché guidava la moto senza casco. Era andato in caserma nel tentativo, troppo accorato, di fare valere le sue ragioni.
Solo che la frase, seppure pronunciata, non è bastata a fare scattare la condanna per diffamazione. L’imputato, già scagionato nel processo penale, non dovrà risarcire i danni al carabiniere che si era costituito parte civile. L’imputato, infatti, non gli aveva dato del “cornuto” direttamente, ma si era sfogato con un collega del militare. Per diffamare qualcuno è necessario essere almeno in tre. Chi diffama, chi viene diffamato e chi ascolta da spettatore quando accade. Nel caso in esame, mancava uno degli attori principali. Che era collegato al telefono con il collega, ma non vi è alcuna certezza che abbia sentito la frase incriminata.
La storia del processo è piuttosto complicata. In primo grado l’architetto era stato condannato a novecento euro di multa dal giudice di pace. Una condanna in contumacia visto che l’imputato non si era mai presentato. Quando seppe della sentenza si affidò agli avvocati Vincenzo Pillitteri e Fabio Filippazzo che, sulla base di una sentenza della Corte di giustizia europea in materia di notifiche processuali, riuscirono a fare dichiarare nulla la sentenza.
Si ricominciò da capo e arrivo l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. La parte civile, però, fece appello solo per ottenere il risarcimento danni e gli diedero ragione. L’architetto fu condannato a sborsare duemila euro. Nuovo ricorso dei legali e nuova vittoria in Cassazione: la mera potenzialità diffamatoria della frase non basta da sola a configurare il reato, ci vuole la potenzialità diffusiva. Insomma, il “cornuto” di cui sopra fu pronunciato davanti a una sola persona. I supremi giudici decisero che andava celebrato un nuovo processo, quello andato ora a sentenza. Il giudice monocratico, che da organo di appello nei processi celebrati dinnanzi al giudice di pace, ha chiuso la partita giudiziaria: non ci fu diffamazione.