PALERMO – La politica non è al di sopra della legge. Anzi, l’azione politica è e deve restare subordinata al principio di legalità. Se si perde di vista questo concetto dilagano corruzione e mala gestio delle risorse pubbliche.
Il procuratore regionale della Corte dei Conti, Gianluca Albo, nell’ufficialità della sua relazione in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario contabile, usa un linguaggio formale, ma è piuttosto chiaro il richiamo rivolto alla politica e ai suoi rappresentanti seduti in platea.
“La nostra non è una pura energia, che si risolverebbe in mero entusiasmo di far qualcosa; è, invece, un’energia consapevole della difficoltà di contrastare – spiega Albo – i gravi fenomeni di spreco delle risorse pubbliche che non si svelano, solitamente, nell’anomalia procedimentale evidente, ma hanno genesi nella illegalità pianificata a monte, la più insidiosa perché mimetizzata dalla regolarità del procedimento amministrativo, e che solo negli effetti finali distorsivi o distrattivi delle risorse pubbliche estrinseca la sua illiceità”.
I magistrati contabili possono intervenire a cose fatte, quando il danno erariale è ormai stato commesso. L’azione della Procura della Corte dei Conti non può risolvere i problemi. “Il punto di partenza per un serio approccio di sistema di contrasto in Sicilia della corruzione – aggiunge – è la netta e convinta presa di distanza da un modello di indirizzo politico prima, e di gestione delle risorse, poi, ove il principio di legalità è subordinato al principio di merito della scelta politica”.
Albo ancora il suo ragionamento alla realtà, quando dice che “finché si riterrà, ad esempio, che per fronteggiare problemi occupazionali, non di rado pretesto per consolidare posizioni clientelari, si debbano comunque impiegare risorse a prescindere dai vincoli di bilancio o dai divieti legali di assunzione o dalle regole concorsuali di evidenza pubblica, non solo chi gestisce, o fa gestire, risorse viola il principio di legalità, ma lo fa trasgredendo anche il principio di uguaglianza allorché si accetta di negare ogni chance alla vasta platea di tutti coloro così emarginati da non riuscire neanche a diventare clientes, ed, anche, di tutti coloro che rivendicano la dignità a divenire, nel rispetto delle regole, destinatari di risorse pubbliche senza degradare da cittadini a clientes”.
La politica si sarebbe assuefatta all’illegalità. Secondo Albo, “un altro insidioso fenomeno che caratterizza la gestione delle risorse in Sicilia, ma, non dubito, anche altrove, è quello della metabolizzazione dell’atto illecito. In sostanza, la condotta amministrativa vietata ma non immediatamente perseguita (trattasi di fattispecie sovente connotate da omertà amministrativa) viene reiterata nel tempo divenendo prassi amministrativa ove la percezione di illiceità si affievolisce sempre di più nel tempo, tanto poi da suscitare addirittura sorpresa (o simulazione di sorpresa) l’intervento della Procura contabile volto a reintegrare le conseguenze della condotta illecita”. Legalità e ragionevolezza dovrebbero essere le linee guida della pubblica amministrazione e “non possono ipotizzarsi deroghe riconducibili all’autonomia statutaria o parlamentare”.
Infine poche parole su un tema tanto caro ai governi che si susseguono alla guida della Sicilia: la nomina di consulenti esterni. Sembra un semplice cenno, m in realtà è una stoccata. “Per la stretta attualità politica della questione non si farà cenno alla problematica del reclutamento dei dirigenti esterni”, spiega Albo che, però, fa un richiamo alla “obbligatorietà anche nella Regione siciliana del rispetto dell’art. 19 D.lvo 165/2001”. E cioè alla legge che impone di cercare innanzitutto nel personale interno della Regione, le figure professionali per ricoprire gli incarichi. Ed invece, nonostante ci siano già circa 1600 dirigenti assunti, ne serve sempre qualcuno che venga da fuori.