ADRANO (CATANIA) – Era stato lo zio Alfio a volerlo come reggente dell’omonimo clan mafioso che comanda ad Adrano. E assieme ad Antonino Bulla e Salvatore Crimi, Gianni Santangelo si sarebbe occupato praticamente di tutto: dagli stipendi degli affiliati alla raccolta del pizzo dagli esattori.
Lo si legge nell’ordinanza del gip Stefano Montoneri, che ha portato alla cosiddetta operazione “Meteora”, con cui la squadra mobile ha decapitato tre clan mafiosi operanti ad Adrano: i Santangelo, in pratica, poi i Mazzei, detti anche “carcagnusi“ e i “Caminanti”. Gianni era una emanazione di suo zio. Di Santangelo parla il pentito Francesco Rosano.
La paura del 41 bis
E anche per questo, forse, quando gli viene proposto di diventare un “pezzo da novanta” del clan Santapaola, proposta che gli avrebbe fatto personalmente Francesco Santapaola, accolse il consiglio dello zio. Rifiutò l’offerta, in pratica, preferendo rimanere nella sua “confort zone” fra Adrano e i paesi vicini.
Aveva paura, Gianni, ma non tanto degli altri uomini d’onore, quanto dello Stato. Sul punto suo zio Alfio era stato chiaro: appena diventi un boss, scatta il 41 bis. Evidentemente il “carcere duro per i capimafia”, in certi ambienti, funziona ancora come deterrente. Ma non certo dalla mafiosità. Per gli inquirenti, infatti, Santangelo il suo clan lo avrebbe comandato assieme ai suoi fedelissimi.
La posizione di Bulla
Bulla, per gli inquirenti, quando era ai domiciliari avrebbe occupato un ruolo di primo piano nel clan. Secondo il pentito, nonostante la misura avrebbe continuato a gestire le attività criminali, “inviando lettere ai suoi sodali detenuti e facendo capire che continuava a occuparsi della distribuzione di denaro derivante dalle attività illecite”.
La sua gestione delle finanze del clan emergerebbe da una lettera intercettata, datata 1 luglio 2021, in cui spiegava di aver venduto alcune automobili e di aver distribuito i guadagni tra i membri del clan. Per quanto riguarda Crimi, invece, secondo un altor collaboratore di giustizia sarebbe stato il reggente quando era ai domiciliari.
La centralità di Crimi
Anche lui avrebbe gestito le finanze del clan, assicurandosi che i soldi raggiungessero le famiglie dei detenuti. Sarebbe stato noto per la sua centralità nella gestione delle truffe e delle attività illecite, mantenendo stretti contatti con Gabriele Santapaola, un’altra figura chiave del clan mafioso catanese.
Si sarebbe avvalso di altri come intermediari per mantenere i rapporti tra i vari membri del clan e per organizzare le attività illecite. Tutti e tre, Santangelo, Bulla e Crimi, sono accusati di associazione mafiosa con l’aggravante di aver promosso e diretto le attività mafiose.