L'indignazione di Russo | Ma nulla è cambiato - Live Sicilia

L’indignazione di Russo | Ma nulla è cambiato

Una lettera firmata. Un lettore di Livesicilia ci scrive e racconta una storia di sanità. Noi la pubblichiamo, dando come sempre spazio alla cronaca e alla protesta.
Una lettera sulla Sanità
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5 min di lettura

Che gran giorno fu il giorno in cui il deputato regionale Antonello Cracolici chiese di fotocopiare una prescrizione e si sentì rispondere che lì, in quell’ufficio pubblico, non si poteva: che andasse fuori,dal tabaccaio, come tutti. Allo sportello dell’Azienda Sanitaria manca tutto, il personale, i macchinari, e i malati che ogni due o tre anni si ripresentano per dire che non è cambiato nulla – “la tiroide che mi hanno tolta non è ancora ricresciuta, e il cuore, il braccio, la gamba…” – devono sottostare alla norma gogoliana che vuole una periodica verifica dell’ovvio e dell’immutabile. I malati gravi, inoltre, devono passar da queste parti per le loro medicine dette “salvavita”: devono chiederle prima ad uno specialista, poi fotocopiare la richiesta in tante copie quanti sono i flaconi, presentare il malloppo allo sportello dantesco dell’Azienda Sanitaria per i visti e i conteggi, recarsi dal medico di famiglia per la prescrizioni e infine, ritirare il bottino in farmacia.

Può anche capitare che il bottino sia distribuito dalle sole farmacie ospedaliere, e allora, niente visto ma farmacia ospedaliera a giorni alterni e lunghe code assicurate. Fu un gran giorno, dunque, quello in cui il deputato regionale Cracolici perse le staffe per una fotocopia negata e disse del suo disappunto all’assessore regionale alla Salute, Massimo Russo, che da ex pubblico ministero si decise ad un’inchiesta lampo e si precipitò, scorta e occhiali scuri, nel girone di via Marchese di Villabianca. Urlò, chiese conto e ragione, convocò i vertici di tutte le direzioni e puntò il dito sugli impiegati. Anticipò che sarebbero saltate delle teste.

Parve un anticipo di rivoluzione. Russo come Robespierre. I giornali ne diedero però una versione termidoriana: Russo era lì per caso, per cose di famiglia, e s’era reso conto del disastro. I molti risparmiati dalla ghigliottina pensarono, sperarono, che in breve avrebbero avuto una nuova sede: più ampia, capace d’accogliere degnamente loro stessi ed anche i malati, i famigliari, i medici; sperarono in una fotocopiatrice, in un computer; si spinsero, incoscienti, in quel territorio inesplorato della speranza nel quale s’intravedono i rincalzi, forze nuove, braccia e menti fresche e volenterose. Nulla.

Fu un gran giorno, quello in cui Cracolici e Russo s’indignarono e urlarono la loro rabbia. Io mi sentii confortato. Oggi sono stato in via Marchese di Villabianca. Locali piccoli. Settanta od ottanta persone in attesa. Molti i malati. Volti sofferenti, segnati, e quel che è peggio, rassegnati. Tutti con le loro fotocopie. Una signora, inesperta, deve andar via. Non ha fotocopiato. Cede il numero 31 ad una signora di qualche anno più giovane, che a sua volta si dà da fare per far avanzare quelli che son dopo di lei, con un complicato giro di bigliettini da supermercato, indecenti persino in quel girone. Poi, è il mio turno.

Dentro, in una stanza con meno privacy di quel nulla che mortificava nel saloncino da dieci metri per cinque, due impiegati alle prese con gli avventori. Un impiegato, lo conosco, persona buona e gentile, reagisce alle provocazioni di un utente esasperato: è il fratello di un ragazzo ammalato, seduto, testa china. Dico alla mia impiegata: il fatto è che i malati, e i loro parenti, hanno sempre ragione, soprattutto quando sbagliano. Lei dissente. Si difende. Intervengono in tanti. Il responsabile dello sportello – conosco anche lui, persona buona e gentile, tenta di risolvere il contrasto.

Dopo la furia dei politici, sono arrivati due soli rincalzi: uno si è fatto trasferire subito. Ecco, è arrivata anche una stampante. Vado via. Ho atteso un’ora e mezza. Ma non ho ancora finito. Manca il bottino della Farmacia ospedaliera, all’Ospizio Marino. Un solo medico, una precaria di cinquant’anni, al telefono cerca di procurarsi con chissà quale ufficio le medicine che mancano: le tenta tutte. Le mie, per fortuna, ci sono. Lavora da sola, la dottoressa, con un’assistente di una sessantina d’anni che non mi sembra un medico. Due volte la settimana, c’è anche un altro medico. Ottomila utenti, con un medico intero anche se precario e un terzo di un medico, per tre mattine e un pomeriggio alla settimana. Mancano i farmaci e persino i sacchetti. Ha una borsa?, mi chiede l’assistente. Penso siano persone per bene. Ne sono convinto.

Ma quelle stanze sono orrende. Altro girone, altra corsa. Anche qui, mi trovo a sognare locali ampi e accoglienti, aperti 24 ore su 24, e personale numeroso e qualificato. Un sogno imbecille, mi dico. Vorrebbero tutto, e io vorrei che si rispettassero gli ammalati. La sanità comincia dalla dignità. Potrebbero eliminare gli scartafacci inutili. Perché chiedere il rinnovo di un’invalidità insanabile, o di un bisogno medico e farmaceutici irreversibile? E perché non abolire il visto dei farmaci, affidandosi al solo medico di famiglia? Perché usare la carta, nel tempo di Internet? E invece no. Quattro o cinque tappe, in giro per la città, per procurarsi ciò che salva la vita. E a sudare, ad arrabbiarsi, sono i malati, e i famigliari, estenuati.

Io scrivo. Ma se a scrivere quel che io scrivo è un medico o un impiegato di quel girone di via Marchese di Villabianca o dell’Ospizio Marino, lo puniscono, lo trasferiscono. Ascolto la rabbia degli ammalati, dei parenti, dei medici, degli impiegati. Hanno tutti ragione. Ma qualcuno che sbaglia dev’esserci. Che gran giorno fu quello in cui Cracolici e Russo si arrabbiarono. Ora so chi ha torto.

Lettera firmata

La replica. Dagli uffici dell’assessorato alla Salute, fanno sapere che l’assessore Russo ha già insediato un tavolo per la “sburocratizzazione” degli uffici, allo scopo di risolvere le criticità presenti.


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