Riina 'confessò' l'omicidio Dalla Chiesa. "Gliel'hanno aperta la cassaforte"

Dalla Chiesa, quando Riina ‘confessò’| “È uscito… ta… ta… ta… ed è morto”

Così parlava il boss corleonese. E aggiungeva: "Gliel'hanno aperta la cassaforte"

PALERMO – Il 3 settembre 1982, a Palermo, la mafia uccideva il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro. Pochi giorni dopo moriva anche l’agente Domenico

A ricostruire la cronaca del triplice omicidio è stato Totò Riina, nel 2013, mentre passeggiava nel carcere di Milano Opera. Le microspie piazzate dalla Direzione investigativa antimafia registrarono le sue conversazioni con il boss pugliese Alberto Lorusso e finirono nel processo sulla trattativa Stato-mafia.

“Quando ho sentito alla televisione che il generale Dalla Chiesa era stato promosso prefetto di Palermo – riferiva Riina al suo compagno di ora d’aria – per distruggere la mafia ho detto: ‘prepariamoci’. Mettiamo tutti i ferramenti a posto, tutte le cose pronte per dargli il benvenuto”. “Lui – aggiungeva – gli sembrava che veniva a trovare qua i terroristi. Gli ho detto: ‘Qua il culo glielo facciamo a cappello di prete’”. “Un generale di ferro dice che era”, continuava. “S’è visto come era di ferro”, replicava Lorusso.

Riina ricordava gli appostamenti: “Devi cercarlo – spiegava – devi andare pure dentro la caserma”. Infine, le fasi dell’agguato: “Perciò appena è uscito lui con sua moglie … lo abbiamo seguito a distanza… tun … tun… potevo farlo là, per essere più spettacolare nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio. Era più pulito cosi… là in questo albergo… a mare. C’era un po’ di eleganza un poco di gente ricchi perciò potevano succedere anche altri morti, potevano succedere succedere”.

In un altro passaggio aggiungeva ulteriori particolari: “A primo colpo, a primo colpo abbiamo fatto… a primo colpo ci siamo andati noialtri… eravamo qualche sette, otto… di quelli terribili … eravamo terribili. Nel frattempo… altri due o tre… lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato… appena è uscito… là dove stava… ta… ta… ta … ed è morto docu”.

Il boss corleonese riferiva pure il disappunto di uno dei killer del commando, Pino Greco, soprannominato Scarpuzzedda. Arrivò in ritardo e si rammaricò di avere potuto sparare per primo. “Lui era un ritardatario e non si dava pace”.

Cento giorno dopo assere giunto a Palermo il prefetto cadeva sotto i colpi di kalashnikov di un commando mafioso.

E sono state le parole di Riina ad alimentare il mistero sull’eccidio: “Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti…”. “Minchia il figlio faceva … il folle. Perché dice c’erano cose scritte”, continuava Riina nella conversazione intercettata a Opera il 29 agosto del 2013. ù

“Ma pure a Dalla Chiesa gli hanno portato i documenti dalla cassaforte?”, chiedeva Lorusso. “Sì, sì – rispondeva il padrino che poi accennava alla cassaforte del suo ultimo covo, sostenendo che fosse priva di documenti – Li tenevo in testa”. “Loro – continuava, tornando a parlare del prefetto – quando fu di questo… di Dalla Chiesa … gliel’hanno fatta, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte… tutte cose gli hanno preso”.


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