CATANIA – Bisogna ammetterlo. In materia di geografia sicula Daniele Silvestri sembra essere messo davvero bene. La sua musica continua a rappresentare il passe partout ideale per viaggi mai eccentrici e banali. Itinerari che consentono di affacciarsi al mondo da prospettive diverse. Persino dall’alto, come gli acrobati, sfidando vertigini e certezze preconfezionate. Ed è così che, come per magia, la casa preferita dal cantautore romano a volte è “una cava a Favignana tra due ali di farfalla” altre “Parigi, tra la bastiglia e il Bataclan”. “Overtour 2017” fa tappa in Sicilia, stasera al teatro antico di Taormina e domani al Verdura di Palermo. Tra una prova e l’altra c’è tempo per una pausa caffè in cui intrecciare passato, presente e soprattutto futuro.
L’ultima volta in cui abbiamo chiacchierato eri a Catania per il Musicateneo e hai dichiarato: “Lo confesso: amo la pastasciutta e Favignana, un po’ meno i dentisti”. È cambiato qualcosa a tal proposito?
“No, direi di no. Forse sono riuscito a riappacificarmi un pò con i dentisti, mentre gli altri due punti sono rimasti immobili nella mia vita. Continuo ad amare Favignana, è un posto che da tempo mi è entrato nel cuore. La Sicilia e la Puglia sono le due regioni d’Italia che credo di conoscere meglio. Noto, affascinante non solo per quello che vedi ma anche per quello che mangi, ad esempio la granita di gelsi. E poi, la pasta di mandorla di Acireale, il formaggio nostrano che trovi nelle bancarelle del mercato di Siracusa. E ancora la bellezza del teatro di Segesta, il fascino di Santa Ninfa che conoscono in pochi. Anche l’entroterra siciliano ha, comunque, un suo perché. Una volta, ad esempio, mi è capitato di soggiornare a Calascibetta e ne sono rimasto entusiasta”.
Lo scenario suggestivo del Teatro antico di Taormina quanto si addice a fare da sfondo alle tue canzoni e in particolare al tuo nuovo album?
“Vorrei dirti tantissimo ma penso che quello scenario possa potenzialmente sposare realtà diversissime tra loro. Bisogna solo riuscire a rispettarlo, a non pensare minimamente di farlo diventare proprio, bensì di lasciarsi semplicemente influenzare dalla magia di quel posto. Al mondo non credo ci siano tanti luoghi paragonabili a quello dal punto di vista evocativo, storico e paesaggistico. Quando stavamo progettando “Overtour”, Taormina era l’esempio per spiegare agli altri in modo pratico la mia idea di tournee. Il mio intento di mettere in relazione note, parole e le nostre storie con il racconto dei luoghi che ci ospitano”.
“Acrobati” è un album che nasce – hai dichiarato – da un’urgenza creativa, dall’entusiasmo ma anche dalla voglia di guardare il mondo dall’alto. Questa nuova prospettiva quanto è servita a Daniele come uomo e come artista?
“Tanto. Lo scrivere canzoni è un mestiere che vive di ispirazione, desiderio e voglia di sperimentare. E io continuo a non dare per scontato che questi tre ingredienti possano accompagnarmi per sempre. Con l’inizio dei lavori di ‘Acrobati’ per me è stata una sorpresa scoprire di aver ritrovato un entusiasmo che pensavo inevitabilmente si fosse diluito pian piano nel tempo. Un paio di anni fa, quando cominciai a registrarlo, sull’onda anche dell’esperienza rigenerante fatta con Fabi e Gazzè, mi sono ritrovato con la stessa voglia di quando avevo cominciato. E quella voglia non si è esaurita perché tra non molto uscirò con un nuovo disco che è figlio dello stesso momento. Non è un caso, infatti, che la mia tournee si chiami ‘Overtour’, nel senso di ‘oltre’, di prolungamento dal momento che Acrobati proseguirà con un nuovo lavoro discografico al quale comincio già a volere bene. Anche stasera, a Taormina, sperimenteremo e credo sarà l’occasione giusta per suonare un pezzo inedito, ‘L’ultimo desiderio’, semplice e delicato .
Tra i brani presenti in “Acrobati” c’è un pezzo al quale sei più legato?
“Sicuramente ‘La mia casa’ perché mi riempie di energia ogni volta che lo suoniamo. Mi piace proprio viverlo. E ‘Acrobati’ che è un po’ più riflessivo, raffinato e teatrale”.
Il ruolo della poesia è un pò come quello della musica: può ‘docere’, ‘movere’ o ‘delectare’. Le tue canzoni riescono magistralmente a conciliare le tre funzioni: insegnare (facendo riflettere), entusiasmare e dilettare. Come ci riesci?
“In realtà una cosa si porta appresso l’altra. Guardare l’universo con occhi diversi, attraverso ad esempio l’ironia, ti fa un pò allontanare da quella realtà ma ti permette anche il lusso di guardare le cose da uno sguardo d’insieme, scorgendo un ordine che da vicino non percepivi. Poi ci si può allontanare non soltanto dal punto di vista geografico, ma anche attraverso una prospettiva spaziale e temporale”.
Instagram, Twitter, Facebook… Daniele Silvestri è parecchio social. La virtualità conduce l’uomo all’evoluzione o all’involuzione come pensano in tanti?
“Può condurre ad entrambe le cose. Io credo di farne un uso misurato, non mi sento particolarmente schiavo della tecnologia. Ne traggo sicuramente un beneficio perché, per quanto riguarda anche solo l’attività professionale, il confronto che riesco ad avere in Rete con i miei fan di cui vado particolarmente orgoglioso è piacevole e stimolante.”
In questi anni hai collaborato con tanti artisti. C’è qualcuno con il quale ti piacerebbe realizzare qualcosa?
“Non vivo tale possibilità con particolare ansia, sono sempre state collaborazioni sincere e spontanee, mai decise a tavolino. Per questo mi viene difficile farti dei nomi in quanto ci sono ipotesi in corso. Te ne dico una di collaborazione che è impossibile non si sia ancora concretizzata. Parlo di Samuele Bersani. Non ti so dire quando e come ma mi piacerebbe diventasse realtà”.
Cosa vorresti tramandare ai tuoi figli dal punto di vista dei valori?
“Senza dirti se ci sto riuscendo o meno, ti rispondo l’onestà. Sì, l’onesta ancor prima dell’ironia. Nel senso più largo del termine, perché contiene tutto il resto e in particolare il modo giusto di stare nel mondo e coltivare i rapporti”.