PALERMO – “Questo bambino, mio figlio, lo devi pagare fino all’ultimo giorno. Hai capito?”. Lo ha detto il pentito Santino Di Matteo riferendosi a Giovanni Brusca, durante la sua deposizione nel processo sulla trattativa Stato-mafia in cui Brusca, già condannato come mandante dell’omicidio del figlio di Santino, Giuseppe, è imputato. “Cosa nostra ha sbagliato tante volte – ha spiegato -. Anche noi capivamo che la strage di Capaci era sbagliata. Sono morte un sacco di persone innocenti. Ci ha rovinato a tutti questa decisione. Se Riina ce l’aveva con Falcone perché non uccideva solo lui. Si è messo contro tutto lo Stato. Per me questi non sono atti mafiosi, ma sono atti terroristici. Sono stati uccisi bambini, donne incinte. Bagarella – ha proseguito Di Matteo, ricordando la morte di Giuseppe – ci giocava pure con mio figlio e poi l’ha ammazzato. Se il tronco è malato perché tagliare i rami? Ma poi aveva due collaboratori in casa sua, perché non se la prendeva con loro. Che cosa hai fatto? Lo pagherai fino all’ultimo centesimo, fino all’ultimo giorno. Perché non veniva cercare a me? Invece – ha aggiunto Di Matteo – si è preso un povero innocente”. Durante la deposizione, rispondendo anche alla domande dell’avvocato di Totò Riina, Giovanni Anania, Di Matteo ha più volte attaccato il boss mafioso Leoluca Bagarella, oltre che Brusca, entrambi condannati per l’omicidio del figlio del pentito. “La dovrete pagare questa ingiustizia – ha più volte ripetuto – fino all’ultimo centesimo”
Di Matteo ha poi raccontato il periodo tra le stragi di Capaci e via D’Amelio: “Tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio Giovanni Brusca si incontrò con Giuseppe Graviano diverse volte a casa mia. Inoltre, una volta venne Antonino Gioè a prendersi dei telecomandi. Mi disse che gli aveva detto Brusca di venire”. Il pentito ha parlato anche dell’omicidio di Salvo Lima, prima delle stragi del 1992. “Lima non aveva rispettato i patti con Cosa nostra – ha spiegato – i patti tra il politici e Totò Riina. Non c’era stato l’interessamento sul maxi processo. Loro dovevano cercare di non fare condannare i mafiosi, invece non hanno fatto nulla. La decisione fu presa da Riina, era lui il capo. Sia per Ignazio Salvo che per Lima la decisione fu la stessa. Dovevano morire”.
Tra i temi trattati anche la presunta trattativa per il recupero delle opere artistiche rubate, condotta secondo l’accusa, dai carabinieri e Cosa nostra, con il tramite dell’eversore nero Paolo Bellini. Bellini aveva riferito di avere imbastito un dialogo, per conto dei boss, col Ros dei carabinieri promettendo il recupero di quadri rubati in cambio degli arresti ospedalieri per capomafia di prima grandezza come Luciano Leggio, Bernardo Brusca e Pippo Calò. “Mi ricordo che un giorno Antonino Gioè venne a casa mia con questo Paolo Bellini, che a quanto avevo capito era uno dei servizi – ha spiegato Di Matteo – Io gli offrii un caffè, poi andarono a casa di Gioè. Seppi poi che Bellini e Gioè parlarono di un accordo per il recupero di un quadro in cambio dell’interessamento di Bellini per l’ammorbidimento del carcere duro e su alcuni processi”.