Ho incontrato Santino Di Matteo, una volta, in una città famosa. Ogni tanto ci sentiamo per telefono. La sensazione è sempre duplice, tra irrigidimento e compassione. Ho stretto la mano a Santino Di Matteo. Sapevo di stringere la mano di un assassino, la mano di un padre che ha perso suo figlio nel modo più atroce. E ancora adesso che lo risento, torna quel doppiofondo, quel sentimento schizofrenico. Respingimento per il mafioso, pietà per il padre.
L’occasione è data dalle polemiche sull’alleggerimento della pena del boss Giuseppe Graviano, sempre al 41 bis, ma non più in isolamento diurno. Graviano è a giudizio per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo, figlio di Santino. Avrebbe avuto un ruolo nella prima fase. Giuseppe, quel ragazzo immortalato mentre salta a cavallo oltre l’ostacolo. Quel ragazzo sciolto nell’acido da Brusca e dalle sue bestie, affinché il padre non si pentisse e non collaborasse. Ne parlammo dal vivo. E il killer Di Matteo mostrò lacrime da uomo normale. Oggi parliamo di Graviano e della “clemenza” dei giudici.
Santino Di Matteo è arrabbiato: “Quello che successo è assurdo. Per gente così ci dovrebbe essere solo il carcere duro. Isolamento a vita, altro che storie! Tu che ne pensi?”. Io, al telefono, farfuglio qualcosa. L’ira dell’altro è un fiume che travolge tutto. Santino Di Matteo ha già emesso il verdetto: “Penso che è uno schifo. Come si fa a rispettare uno come Graviano con tutte le cose che ha combinato? Ripeto: ci vuole l’isolamento a vita. E questo vuol dire già venirgli incontro, avere per lui il rispetto che lui non ha avuto per gli altri. Dico, tu che ne pensi?”. Ancora abbozzo. Di Matteo prosegue: “Loro, tutti loro, (ma il processo è in corso, ndr) hanno messo in mezzo un’anima innocente, non dovevano farlo, non potranno essere mai perdonati. Mai!”.
Il lavoro incalza. La chiamata volge al termine. Sono sempre colloqui brevissimi. C’è qualcosa di diverso in sospeso? Sì. “Voglio augurare buon anno a te e ai tuoi”, dice Santino Di Matteo. Ed è ancora quel senso di straniamento dell’incontro in una città famosa a prendere alla gola. Come stringere la mano, insieme, a un padre e un assassino.