PALERMO – Dopo la grana degli “impresentabili”, il nuovo grattacapo per Matteo Renzi è quello degli “intoccabili”. Ossia quegli esponenti della maggioranza finiti nell’occhio del ciclone e malgrado tutto inamovibili per non turbare equilibri politici. Il caso che più da vicino tocca l’esecutivo parte dalla Sicilia. È quello di Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’Agricoltura, alfaniano di ferro e coordinatore regionale del Nuovo centrodestra. Il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul Cara di Mineo ha dato uno scossone al governo. Sel ha subito puntato il mirino sul sottosegretario chiedendone le dimissioni e sollecitandone l’immediata audizione in commissione d’inchiesta sul sistema d’accoglienza. Il Pd ha preso tempo, perché il coinvolgimento di Castiglione, che respinge tutte le accuse e chiede ai magistrati di poter chiarire la sua posizione, trascina con sé da un punto di vista politico direttamente il titolare del Viminale. L’Huffington Post, riepilogando la vicenda in un dettagliato articolo, ha posto ad Angelino Alfano una serie di domande, contestandogli sostanzialmente omissioni nella gestione del caso Cara, dopo gli arresti di “Mafia Capitale 1”. L’ultimo dei quesiti parla espressamente di dimissioni: “sarebbe pronto a dire che, se fosse arrivato un solo euro direttamente o indirettamente al suo partito da ‘La Cascina’ sarebbe pronto a dimettersi?”, domanda il quotidiano on line.
Insomma, nel momentaccio di Ncd – l’ultima tegola sul partito di Alfano è stata la richiesta d’arresto per il senatore Azzolini – il “caso Cara” viene visto come il possibile inizio di una valanga che rischia di travolgere tutto. Un’eventualità che Renzi, con i suoi numeri ormai non troppo larghi al Senato, deve evitare. Ecco perché il premier, malgrado silenzi e imbarazzi, deve lasciare al suo posto il sottosegretario, esponendo il governo.
Inamovibile Castiglione, per salvaguardare Ncd e quindi i numeri della maggioranza, inamovibile Enzo De Luca, neogovernatore della Campania su cui pende la spada di Damocle della legge Severino, per via della condanna per abuso d’ufficio. La patata bollente è tutta nelle mani del premier, che dopo aver abbracciato l’ex sindaco di Salerno in campagna elettorale, si torva in una situazione tutt’altro che comoda. Lo stesso De Luca suggerisce al presidente del Consiglio il da farsi dalle colonne di Panorama: “Matteo Renzi sarà obbligato a consultare, questo prevede la procedura, il ministro dell’Interno, poi sentirà il ministro degli Affari regionali, poi penso che vorrà sentire l’avvocatura dello Stato perché insomma la faccenda è delicata e non ci sono precedenti e, caspita, stiamo parlando della seconda Regione d’Italia. Dopodiché decide”.
E c’è poi il terzo intoccabile, quell’Ignazio Marino, sindaco di Roma. Gli scenari svelati dalle inchieste su mafia capitale forse provocherebbero lo scioglimento di qualsiasi altro Comune d’Italia. Ma Marino, la cui onestà “è a prova di bomba” per il partito, non si tocca, o almeno così hanno deciso per il momento Matteo Renzi e Matteo Orfini. Ma l’ombra di un possibile scioglimento per mafia c’è, eccome. E al Nazareno lo si vuole evitare, tanto che oggi ‘Repubblica’ scrive della possibilità di un piano B, che passi dalle dimissioni del sindaco. Un piano solo eventuale, perché al momento la linea è quella di fare quadrato attorno al primo cittadino e di ripulire per come possibile l’immagine logora del partito nell’Urbe.
Tre inamovibili e tre grane in più per il premier e il suo Pd. Che dopo le Regionali si sono svegliati un po’ meno invincibili di quanto credessero.
