Draghi e quella parola così difficile da pronunciare - Live Sicilia

Draghi e quella parola così difficile da pronunciare

Sul Mezzogiorno poche righe nel discorso del premier. Ma è il contrasto alla disuguaglianza la prima sfida dell'Italia
L'EDITORIALE
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4 min di lettura

La nascita del governo guidato d Maro Draghi viene vista da molti osservatori nazionali e dalla gran parte degli osservatori internazionali come l’ultima chance per l’Italia. Il nostro Paese, gravato da un gigantesco debito pubblico, disperatamente deficitario di riforme sempre promesse e mai attuate, spaccato a metà con un fardello di sottosviluppo concentrato nel suo Mezzogiorno, ha sofferto più di altri gli effetti economici della pandemia e rischia di affondare. C’è da augurarsi che l’ampia maggioranza che sostiene il nuovo esecutivo, guidato da una personalità che gode di una stima internazionale senza paragoni, lo abbia ben chiaro. E che agisca di conseguenza.

Quanto a Draghi, l’augurio che dal primo momento il nostro giornale ha formulato, è quello che tenga bene a mente che non c’è un’Italia ma due, e che le specificità del Mezzogiorno richiedono ricette diverse, specifiche, tarate sulla sua tragica condizione. E al Mezzogiorno, il nuovo presidente del Consiglio ha dedicato un capitolo del suo discorso in Parlamento in occasione del voto di fiducia. Un capitolo per la verità abbastanza breve, con dei riferimenti alla necessità di recuperare sull’occupazione femminile, che al Sud è ferma a percentuali da terzo mondo, e sull’obiettivo di “attrarre investimenti privati nazionali e internazionali”, che “è essenziale per generare reddito, creare lavoro, investire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne”. Come? Draghi ha fatto solo un accenno fugace al tema del credito di imposta, precisando che occorrerà trattare con l’Unione europea. La parola “Mezzogiorno” è stata pronunciata dal premier due volte, in un discorso di quasi un’ora. Poco.

Purtroppo, difficilmente l’Italia potrà diventare quel Paese più giusto e più attento al futuro delle nuove generazioni dipinto dal discorso di Draghi se perde di vista le fondamenta della Repubblica. Che sono i principi della Costituzione, quella che guai a chi la tocca. Bene, farebbe tanto bene a tutti rileggerla. Anche solo fermarsi all’articolo 3, che ha in sé il senso più profondo dello Stato per come inteso dai costituenti. Si tratta della norma sulla così detta eguaglianza sostanziale, quella che dice che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Ed è questa, oggi come 75 anni fa, la grande sfida irrisolta dell’Italia. Garantire uguaglianza delle opportunità nel Paese delle disuguaglianze, il Paese in cui ancora oggi dove sei nato condiziona enormemente le possibilità che avrai bella tua vita. O ci si sbraccia per accorciare le disuguaglianze o tutto il resto sarà vano, o per lo meno non riuscirà rendere questo Paese più giusto.

La prima di tutte le disuguaglianze è quella di genere giustamente ricordata da Draghi. Solo il 38,7 % delle giovani donne con un diploma di istruzione superiore è occupato, rispetto al 50,8 % degli uomini; soltanto il 43,3 % delle donne percepisce un reddito da lavoro (dipendente o autonomo) rispetto al 62 % degli uomini.

L’altra principale disuguaglianza è quella che divide l’Italia in due, con un Mezzogiorno sottosviluppato, abbandonato, desertificato, in cui le infrastrutture e i servizi sono risibili rispetto al resto del Paese, e da cui da anni i giovani, soprattutto i più formati e istruiti, vanno via per sempre. E’ un divario che i ragazzi del Mezzogiorno conoscono sin da piccolissimi, che si misura ad esempio nelle percentuali molto basse del tempo pieno a scuola nel Sud rispetto al Nord, nel divario dei livelli di competenza degli studenti meridionali, nel divario su fronte delle infrastrutture scolastiche. I ragazzi del Sud muovono i primi passi con un handicap che li accompagnerà per tutta la vita, o almeno per tutta la parte che trascorreranno alle latitudini in cui sono nati. “E’ impossibile definire un serio piano per la ‘ricostruzione’ dell’economia italiana senza considerare i ritardi e il potenziale di crescita del Sud”, scrivono Luca Bianchi e Antonio Fraschilla nel loro “Divario di cittadinanza” (Rubbettino).

Accanto a queste due disuguaglianze, quella tra uomini e donne e quella tra Nord e Sud, ne convivono altre, come quella tra grandi città e aree interne o tra centri e periferie. Anche all’interno dello stesso Sud. Le opportunità che si offrono oggi a chi nasce in via Libertà sono assai diverse da chi cresce anche poco più in là, al Borgo Vecchio. Stesso discorso per chi nasce in una città e chi cresce in un paesino montano dell’interno. Tanto più abbondanti e consistenti sono queste diseguaglianze tanto meno giusto è un Paese.

Si è molto parlato della carta di identità dei ministri e del netto primato dei lombardi nel nuovo esecutivo. Certo, a un primo sguardo questo potrebbe inquietare. Ma se si pensa al giovamento che il Sud ha effettivamente tratto da certa sua classe dirigente forse è meglio guardarla in un altro modo. E misurare l’attenzione dell’esecutivo per il Mezzogiorno dai risultati. Nella speranza che quella parola riaffiori sulle labbra di Draghi un po’ più spesso.


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