In una società civile, evoluta, il sindacato svolge un ruolo primario, innanzitutto per difendere i diritti dei lavoratori e rispettare le regole. Episodi come quelli avvenuti a Palermo nel corso dei tredici giorni di serrata dei dipendenti comunali per il pagamento di anzianità pregresse, rappresentano certamente una delle pagine nere del sindacato e della cosiddetta società civile. Il 29 novembre del 1988 sfilano in corteo due bare che portano i nomi di Leoluca Orlando e Aldo Rizzo. Sei giorni dopo, in piazza Pretoria, un sindacalista della Cisl, Luigi D’Antoni, grida al microfono davanti a una folla che lo applaude: «Se lottare per i lavoratori significa essere mafiosi, allora viva la mafia». Sull’onda delle polemiche, l’indomani, i comunali sospendono lo sciopero e tornano al lavoro.
L’episodio resta. Giuseppe Testa, in prima pagina su La Sicilia del 6 dicembre, scrive: «Ecco la Palermo (povera Palermo) appena uscita dall’agonia, dal collasso, da un terribile breakdown durato due settimane. È ancora sporca, lacera, caotica, impazzita di traffico e di sirene. Eppure continua a recitare imperterrita la sua sceneggiata. Un copione dove tutti trascinano tutti davanti all’invisibile tribunale dell’antimafia e nessuno capisce più chi sono davvero le streghe e chi è il boia designato a mandarle al rogo». L’episodio crea scompiglio in città e fra i sindacati. Chi dovrà pagare? perché contro Orlando? può il sindacato intestarsi una campagna non politica, ma di corrente? Queste domande circolavano insistentemente. Un fatto che ne ricorda un altro: gli operai della Lesca e dell’Icem licenziati dalle rispettive imprese in corteo con cartelli nei quali c’è scritto «Con la mafia si lavora. Viva Ciancimino».
E poi sono tanti gli interrogativi sulla scelta del sindacato di annunciare uno sciopero a oltranza proprio di quei dipendenti che più di altri dovrebbero garantire i servizi, da quello mortuario a quello di stato civile, all’anagrafe. Tutto, invece, si è fermato. Senza pensare che la città chiedeva e meritava quantomeno un po’ di rispetto, senza togliere nulla alle rivendicazioni sindacali. La protesta di Palermo aveva come obiettivo davvero il pagamento delle indennità pregresse in dodicesimi o ventiquattresimi? oppure si trattava di altro? Per il modo in cui è terminata la lotta in piazza è difficile dare una risposta certa. Anche se i sospetti su una regia politica sono messi in evidenza da molti giornali. Italo Tripi, segretario della Camera del lavoro, ha le idee chiare sui manovratori: «C’è il siluro democrattiano, puntato proprio contro Orlando, oltre che contro la giunta. Chi compone l’equipaggio di questo sommergibile pirata? Per i palermitani è semplice rendersene conto. Ancora una volta il solito, intramontabile Salvo Lima. C’è Rino Nicolosi, presidente della Regione, che ha dimenticato strada facendo le ragioni del rinnovamento in casa democristiana. In compagnia di Nicolosi ci sono i dirigenti palermitani della Cisl, il sindacato che qui ha sempre più le connotazioni di una corrente-partito che si candida a gestire un pezzo di potere democristiano.
Si avverte il peso del senatore Avellone, anche lui impegnato nell’arrembaggio contro questa giunta. Si carica sulla città, sull’amministrazione e sul movimento sindacale il peso del duro scontro in vista del congresso democristiano e delle elezioni europee». E Orlando, sulle colonne de L’Unità: «Tutti sosteniamo che le regole della politica sono arcaiche. E allora la vera politica sta nel cambiamento di queste regole». Un discorso rivolto ai partiti «che devono rinnovarsi» e rivolto anche ai sindacati che «non possono considerarsi zona franca rispetto alle istanze di rinnovamento che provengono dalla società». Dichiarazioni, purtroppo, di straordinaria attualità anche se pronunciate venticinque anni fa.
Per curare le piaghe, scendono in Sicilia Franco Marini, segretario nazionale della Cisl, e Bruno Trentin, suo collega della Cgil. Grazie ai due leader, il sindacato riconquista credibilità. Il 1988 si chiude con la decisione del Comitato provinciale della Dc di aprire ai comunisti: su 42 voti ci sono 11 astensioni, fra le quali quelle andreottiane. La Dc è spaccata, anche ufficialmente. È il primo vero banco di prova per il segretario provinciale democristiano Rino La Placa, eletto sei mesi prima dal Congresso del suo partito, concluso da Ciriaco De Mita. L’assise scudocrociata si era chiusa con un documento politico approvato dalla Sinistra e dal Grande centro che riconosceva l’esperienza pentacolore e apriva a Pci e Psi. Nessun passaggio per i laici.