PALERMO – Gli ex operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese sono scesi in strada per chiedere al governo regionale risposte sul futuro di oltre milletrecento dipendenti, quota che comprende anche tutti coloro che facevano parte dell’ indotto industriale. La manifestazione, partita intorno alle 11.30 dalla sede della Prefettura di Palermo, si è spostata poi lungo via Cavour per imboccare l’asse viario di via Maqueda alla volta di Palazzo d’Orleans, in piazza Indipendenza. Durante il tragitto i manifestanti hanno prima cercato di entrare nella sede della Banca d’Italia in via Cavour e, dopo essersi fermati per una decina di minuti davanti al Teatro Massimo, hanno cercato di farsi accogliere a Palazzo delle Aquile dal sindaco Leoluca Orlando.
“Siamo qui oggi per chiedere al Presidente della regione notizie certe sul futuro dell’ex stabilimento Fiat di Termini e delle oltre mille persone che dalla fine di quest’anno saranno messe in mobilità – ha spiegato Vincenzo Comella, Segretario provinciale Uilm Palermo -. Tra il 28 ed il 29 dello scorso marzo avremmo dovuto incontrare i vertici della regione per avere notizie della possibile reindustrializzazione dell’area di Termini ma ad oggi non è stato fissato alcun incontro”.
La situazione in cui versano gli operai dello stabilimento Fiat e del suo indotto ormai da anni è frutto di un complesso sistema di accordi e rinvii. “ Nel 2010 infatti con un accordo di programma quadro stipulato con i vertici nazionali la Fiat si era impegnata a cedere a costo zero i due stabilimenti (Fiat e Magneti Marelli ndr.) prevedendo per i 950 dipendenti la riassunzione nelle nuove imprese che sarebbero subentrate – come ha spiegato Comella – . Dall’altro lato invece per gli operai dell’indotto era già scattata la procedura di mobilità nell’ottobre dello scorso anno. Procedura però rinviata al prossimo dicembre con la previsione in primis di un ulteriore anno di cassa integrazione e con la clausola di revoca del licenziamento per tutti i dipendenti nel caso di reindustrializzazione dell’area”.
Nella fattispecie quello che i vertici sindacali scesi in piazza questa mattina, di comune accordo, hanno chiesto è che si conosca l’esito delle trattative che porterebbero gli stabilimenti Fiat e Magneti Marelli nelle mani di grandi multinazionali cinesi, opportunità però che lo stesso Comella definisce “naufragata”.
“Delle aziende che anni fa avevano mostrato interesse verso l’acquisto degli stabilimenti, ne sono rimaste soltanto quattro e di queste, inoltre, l’unica che sembrerebbe essere arrivata ad uno stadio più avanzato della trattativa è la Di Risio Srl con i suoi fornitori orientali. Dai quotidiani però, nei mesi scorsi, abbiamo appreso che questa alternativa non dovrebbe essere attuabile perché non reputata dagli investitori cinesi favorevole e vantaggiosa. Per questo motivo riteniamo opportuno sapere con chiarezza – ha aggiunto ancora Comella – se sarà necessario abbandonare l’ipotesi ‘reinvestimento nel settore auto’ per approdare eventualmente su altri mercati”.
Ad aggravare la situazione c’è anche la crisi economica che la chiusura di tutto l’indotto ha causato per la città.
“Una ricerca di poco più di un anno fa ha evidenziato che la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini ha comportato una riduzione del Pil del mezzogiorno di circa il 5% – ha sottolineato il sindaco di Termini Imerese, Totò Burrafato, presente alla manifestazione -. Partendo da questo dato posso dire che per Termini invece la chiusura della Fiat abbia comportato un crollo di almeno il 50% del prodotto interno lordo. Mille operai che ricevono trecento euro in meno ogni mese equivalgono a mille famiglie monoreddito che non spendono più. I negozi in città continuano a chiudere, i locali rimangono in affitto per mesi e l’economia è praticamente in una situazione di default”.
Al fianco degli operai di Termini c’erano anche i 220 dipendenti della Keller Elettromeccanica di Carini, anch’essi in una situazione critica dopo la chiusura dello stabilimento e con la fine del periodo di cassa integrazione prevista per il prossimo 5 agosto. Per loro, l’unica soluzione prospettata ma anche in questo caso mai confermata, era la possibilità di una riapertura in concomitanza della creazione di un polo ferroviario nei dintorni del capoluogo.