La macchina del tempo si accende a metà di una meravigliosa mattina di inizio primavera in una Palermo baciata dal sole. Basta azionare il comando, come nel classico Ritorno al futuro, e il miracolo s’avvera. Sì, in giro ci sono gli iPad e gli smartphone che twittano a manetta, ma il calendario per magia viaggia a ritroso e si ferma ai primi anni Novanta. Mancano solo i lapini con la mascotte di Italia ’90 e le locandine di Mery per sempre al cinema. Per il resto le facce sono quelle lì.
Spunta Pesciolino, il masaniello della Vucciria. C’è Alberto Mangano, solo un po’ più imbiancato rispetto ai tempi della primavera. E quando il Sinaccollando compare, ecco al suo fianco Pippo Russo e Fabio Giambrone. Alle prime battute di Orlando, in una saletta troppo piccola per una conferenza stampa che si trasforma in bolgia già da subito, il viaggio a ritroso nel tempo si perfeziona. Il disco della legalità riparte, il tono è lo stesso, le parole pressoché identiche, persino lo scatto della testa accompagnato dal movimento del ciuffo è rimasto tale e quale.
Grande folla in sala e non solo giornalisti. C’è Aurelio Scavone con la sua barba candida che annuisce compiaciuto, il battagliero Maurizio Toscano che applaude convinto, Nadia Spallitta che arriva tra baci e abbracci distribuendo sorrisi. Spunta pure un allegro Giusto Catania, già eurodeputato rifondarolo, che da assessore orlandiano intitolò una piazza a John Lennon: spinge un passeggino con un angioletto biondo e si guarda in giro compiaciuto. Ci sono pure i Verdi, tutti e due. E sul finire in fondo alla sala si nota, defilato, un altro storico pezzo di Rete, Gaspare Nuccio.
Tutto si trasforma in happening e i proclami del sindaco della primavera vengono più volte interrotte dagli applausi del suo popolo. Qualcuno racconta che ieri sera, alla notizia della sua discesa in campo, alla Vucciria si festeggiasse. Sì, tutto sembra tornato indietro di vent’anni.
Orlando si esibisce nella sua ben nota ars oratoria. Si arrampica sugli specchi quando parla del patto tradito delle primarie, ma sa farlo come pochi e bisogna dargliene atto, malgrado i giornalisti gli rinfaccino senza pietà le piroette delle ultime settimane. L’ex sindaco tira fuori il teatro Massimo riaperto dopo manco cinque minuti, i bookmakers non avrebbero nemmeno accettato scommesse sul punto. “La Palermo di ieri” affaccia subito nel suo speech, che si apre con un plauso a Confindustria e una mano tesa alle categorie produttive della città. “Ebbene sì, mi candido”, butta lì dopo qualche minuto. E giù il primo applauso. A una signora bionda luccicano gli occhi. Forse anche lei, come il cronista, ha l’impressione di avere vent’anni di meno.
Poi tocca alle bordate agli avversari, raffiche in pieno stile orlandiano, agli amici di ieri-avversari di oggi. Il vecchio combattente ricorre a tutto il mestiere e azzanna nei punti deboli, mirando con precisione. Come quando rinfaccia a Sel i comunicati firmati insieme fino all’altroieri in cui si parlava di inquinamento del voto. O quando colpisce Fabrizio Ferrandelli su uno dei pochi passi falsi della sua campagna: “Ha detto che è normale tenere a casa propria i certificati elettorali degli associati”. Il tutto tenendo sempre fisso nel mirino il Pd, che sostiene un presidente della Regione eletto nello schieramento avverso “e indagato per mafia” (lo ripete almeno tre volte).
Il sinnacollando è tornato, insomma. Adesso resta da capire se la macchina del tempo funzionerà anche fuori dall’hotel Excelsior, raggiungendo tutta la città. O se invece, come diceva solo tre settimane fa un certo Leoluca Orlando, “le grandi storie non si ripetono”.