CATANIA. L’imputata Martina Patti, la madre assassina che il 14 giugno scorso uccise barbaramente sua figlia, Elena Del Pozzo – una bimba di soli 4 anni – era presente in aula. Accompagnata dal personale della Polizia Penitenziaria, ha preso posto nella “gabbia” che si trova all’interno dell’aula di Corte d’assise. Poi ha scambiato due chiacchiere con i suoi legali, gli avvocati Gabriele Celesti, che la difende sin dall’inizio, e Tommaso Tamburino, nominato da pochi giorni.
Si è aperto questa mattina, con l’insediamento della Corte presieduta da Sebastiano Mignemi, il processo per l’omicidio della piccola Elena. L’accusa è sostenuta in aula dal procuratore aggiunto Fabio Scavone e dalla pm Assunta Musella. In aula è presente anche la parte civile, ovvero la famiglia del papà della piccola.
Non ci sono costituzioni di parte civile da parte di associazioni, né del Comune di Mascalucia, città che fu sede della tragedia. I giudici hanno ammesso le liste di testimoni di accusa, difesa e parte civile e rinviato al prossimo 23 giugno. Quel giorno deporranno i primi 4 testi del pm.
Sul banco dei testimoni saliranno quattro carabinieri che hanno condotto le indagini. Poi si andrà al 13 luglio per l’udienza successiva, secondo un calendario che è già stato fissato dalla corte. Secondo quanto trapela, al momento non si parla neppure dell’ipotetica perizia psichiatrica da compiere sull’imputata.
I consulenti del pm: compatibile con il carcere
Trapela tuttavia che nei mesi scorsi la giovane Martina è stata visitata per verificare la compatibilità delle sue condizioni con la custodia cautelare in carcere e più in generale con il regime carcerario. Compatibilità che all’epoca sarebbe stata ritenuta confermata.
L’ipotesi della perizia, adombrata in qualche modo mesi fa da fonti vicine alla difesa, si rendeva necessaria perché Martina Patti, che ha confessato il delitto, non ha mai fornito una spiegazione del suo gesto atroce. Sul movente allo stato sono solo ipotesi. Una ricondurrebbe a una morbosa gelosia nei confronti del suo ex compagno e del rapporto che la sua nuova compagna stava instaurando con sua figlia.
Dopo il barbaro omicidio, la donna seppellì il corpo in campagna, sotterrandolo in un terreno abbandonato. Poi inventò di sana pianta un sequestro della piccola, presentandosi dai carabinieri per denunciare l’accaduto. Dinanzi alle contestazioni dei carabinieri e della Procura, però, finì per crollare e indicare ai carabinieri la zona dove aveva seppellito il corpo.