L’assassinio di Elena, la difesa della madre: “Troppi dubbi irrisolti”

L’assassinio di Elena, la difesa della madre: “Troppi dubbi irrisolti”

Si torna in aula, dinanzi alla Corte d'appello

CATANIA – “La ragazza è oggi consapevole di quanto accaduto e ha iniziato un difficile percorso di recupero, con il sostegno continuo dei propri familiari”. L’avvocato Tommaso Tamburino, assieme al suo collega Gabriele Celesti, fa parte del collegio di difesa di Martina Patti, la giovane mamma di Mascalucia che nel luglio del 2022 uccise la sua bambina, la piccola Elena Del Pozzo, di soli 4 anni, per poi seppellirla in un terreno vicino casa.

La giovane è stata condannata a 30 anni. La difesa ha fatto ricorso in appello, nonostante Martina Patti sia rea confessa dell’omicidio. Si va in aula lunedì 14. Il ricorso della difesa è stato depositato a novembre.

La difesa: “Numerosi dubbi irrisolti”

L’avvocato Tamburino ha accettato di rilasciare alcune brevi dichiarazioni sul processo. “Il giudizio di appello – spiega – dovrà servire a sciogliere numerosi dubbi, tutt’ora irrisolti”. Per la difesa, in pratica, c’è ancora una verità da scrivere. Per questo hanno fatto ricorso in appello.

Il primo interrogativo che pone il legale è il seguente: “Cosa ha spinto Martina a commettere il tragico gesto?”. La difesa, in sostanza, pone l’indice sull’assenza di un vero e proprio movente. La stessa Corte, nelle motivazioni della sentenza, ha escluso l’esistenza di un vero movente “in senso tecnico”, così hanno scritto i giudici.

La sentenza sull’assassinio di Elena

Secondo la sentenza di primo grado, anzi, sostanzialmente la povera piccola avrebbe assunto dei “contorni ingombranti” nella vita di sua madre.

“La bambina era, alla vista dalla Patti, da un lato come destinata col tempo ad avere una stabile presenza di un’altra figura femminile che l’avrebbe potuta “offuscare”, dall’altro si era dimostrata in qualche modo d’impaccio perché una relazione assumesse un carattere di stabilità e profondità”.

La difesa: “Era incapace d’intendere e di volere?”

L’altra figura femminile era la nuova compagna del papà di Elena. La relazione a cui si riferiscono i giudici, invece, era quella che Martina Patti aveva avuto con un altro giovane, dopo la separazione. Motivi che tuttavia, come detto, non convincono la difesa, che pone un altro interrogativo: “Martina Patti era incapace di intendere e di volere in quel momento, come sostenuto dal cattedratico consulente della difesa?”.

Anche questo punto non è stato ritenuto dimostrato dalla Corte, presieduta da Sebastiano Mignemi. I giudici avevano inflitto, nel dettaglio, 28 anni per omicidio, 1 anno e 6 mesi per occultamento di cadavere e 6 mesi per simulazione di reato. In tutto, per l’appunto, 30 anni.

La confessione

L’imputata come detto ha ammesso le proprie colpe poche ore dopo l’assassinio e al termine di un serrato interrogatorio in caserma. Inizialmente aveva tentato invano di convincere i carabinieri che la bimba fosse stata rapita. Ma i militari hanno scoperto una dopo l’altra la lunga sequela di bugie. Fino a quando non è crollata, accompagnando i militari sul luogo dove aveva seppellito la figlia.

La piccola Elena fu uccisa con un’arma da taglio. I giudici hanno riconosciuto all’imputata le attenuanti della “confessione” e della “giovane età” dell’indagata. L’aggravante: la premeditazione.


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