Il costo dell’energia elettrica ha raggiunto prezzi da capogiro e non sembra che questa curva in ascesa abbia ancora toccato la vetta. Le conseguenze sono visibili sulle bollette di tutti, ma le fatture delle aziende energivore, soprattutto quelle siciliane e sarde, sono le più ingombranti e hanno già segnato lo stop alla produzione di Acciaierie di Sicilia SpA. L’azienda con sede a Catania, fa parte del gruppo Alfa Acciai, produce tondo per cemento armato e conta 200 dipendenti diretti e altrettanti nell’indotto oltre a coinvolgere la filiera della raccolta del rottame e quella delle costruzioni. Negli scorsi mesi hanno dovuto interrompere la produzione per il costo elevatissimo dell’energia e adesso stanno praticamente vivendo “a giornata”.
Cosa significa esattamente ce lo ha spiegato Vincenzo Guadagnuolo, direttore generale di Accierie di Sicilia Spa: “Per capire quello che sta succedendo dovremmo dividere i problemi in due. Uno è quello generale dell’incremento dei costi di produzione soprattutto per le aziende energivore. In questo caso ciò che si perde è la competitività rispetto a concorrenti come i turchi. Poiché la Sicilia non assorbe tutta la nostra produzione, dobbiamo per forza vendere nel Mediterraneo e con i costi energetici italiani questo è già impossibile. Qui però interviene il secondo effetto: Sicilia e Sardegna, scontano un costo dell’energia più alto d’Italia per un costo in più nelle voci di spacciamento e trasporto. In più le aziende della penisola possono accedere all’acquisto di quote energetiche all’estero tramite l’interconnector, principalmente Francia e Croazia che offrono quote del nucleare a prezzo più basso.
Qual è la differenza di prezzo tra penisola e isole?
Un anno fa pagavamo il costo dell’energia a 60 euro a megawatt ora, a Brescia lo pagavano 54 euro e consideravamo i 6 euro, diciamo così, trascurabili. Adesso però il costo è aumentato da 60 a 600 e la differenza non è 6 euro ma 150. Con questi prezzi non sono competitivo né con i turchi né con le aziende italiane tipo SiderPotenza, quindi non riesco a (più) a vendere in Calabria, Puglia, Campania perché ho i costi più alti e questo mi costringe a indirizzarmi alle vendite siciliane che rispondono, però, a meno della metà della nostra produzione, circa un terzo per essere precisi.
Ci sono soluzioni?
Qualche strada ci sarebbe. Una di queste è l’energy release, una regolamentazione che consentirebbe, tra l’altro, l’applicazione del dettato costituzionale secondo cui le Isole devono essere equiparate al resto d’Italia. Cioè un costo dell’energia simile tra isole e penisola. Eppure l’approvazione di questo decreto slitta ogni volta e per noi diventa sempre più pesante.
Da quando è in ballo l’energy release?
Hanno iniziato a parlarne prima di luglio.
La discrasia del costo dell’energia non è solo un problema attuale.
C’è un pregresso in effetti. Negli anni passati al nord il prezzo era collegato al sistema interconnector, per il sud avevano creato un sistema che si chiamava “Super interrompibilità isole”. Accierie di Sicilia aveva dato disponibilità, a Terna, di staccarci istantaneamente l’energia nell’eventualità di un problema e finché non bilanciavano la rete. Queste interruzioni potevano 1, 2, 5 minuti. In questo modo Terna azzerava i problemi nelle città siciliane, e Acciaierie di Sicilia veniva remunerata. Questo sistema è scaduto nel 2019, poi c’è stato il Covid e si è pensato che questa misura non fosse più necessaria. Grande errore, grande ritardo e adesso grande difficoltà per tutte le aziende come noi in Sicilia e in Sardegna. Un esempio sono i cementifici.
Questa soluzione non può essere risolta con uno stop della singola azienda per 15 giorni, occorre una soluzione che sia tale.
La soluzione è stata più o meno disegnata: si prende una quota dell’energia rinnovabile (siciliana e sarda) che è anche in esubero, e si dedica alle aziende delle isole a un prezzo calmierato. È un sistema di compensazione che, però, non si riesce a quagliare. Ieri (giovedì per chi legge, nda) l’approvazione di questa misura è saltata per motivi diversi, forse connessi al superbonus.
Se pagaste il prezzo dell’energia quanto lo pagano le aziende della penisola, ricomincereste a essere operativi da domani?
Potremmo lavorare di più senza dubbio, non al cento per cento perché il prezzo dell’energia italiana è davvero molto alto in questo momento – ricordo il confronto con la Turchia che è il nostro competitor diretto, sottolinea Guadagnuolo -, ma almeno riusciremmo ad allargare la nostra offerta al sud Italia. Dal punto di vista economico il nostro Paese sta sprecando soldi, in cassa integrazione, che potrebbero essere utilizzati per far lavorare le aziende senza mettere queste ultime nelle condizioni di mettere i dipendenti in cassa integrazione.
Mi ha detto che decidete oggi per domani se lavorare oppure no, in base a cosa?
Ogni giorno, più o meno alle 14, ci arriva la tabella dei costi dell’energia del giorno dopo, anche per fascia oraria, e decidiamo se il prezzo ci consente di venire a lavorare oppure no. Oggi abbiamo lavorato.
Il costo dell’energia dipende da questa guerra?
In parte sì.