PALERMO- L’era del free press inizia il primo dicembre 2008 a Palermo, con l’arrivo di Epolis e la distribuzione di trentamila copie in settecentonovanta punti della città. Un giornale completamente gratuito per i lettori che avevano premiato il progetto editoriale e la novità di un cartaceo “senza fronzoli” in grado di occuparsi di tutti i settori, dalle vicende nazionali alla cronaca e alla politica locale, chiudendo con lo spettacolo, senza sborsare un centesimo. Un sogno che crolla nella prima metà del 2010, quando, ad un anno e mezzo dalla partenza, l’edizione palermitana scompare insieme ad altre quindici in tutta la Penisola. Il sogno di un free press palermitano, con un occhio alla zona del Catanese, un’app dedicata sul web e scaricabile in pdf sin dalle 5 del mattino, comincia a precipitare proprio nell’agosto di quattro anni fa, mettendo a rischio 131 giornalisti in tutta Italia, compresi i sei della redazione del capoluogo siciliano, con tanto di collaboratori e fotografi. Era soltanto l’inizio del tracollo.
Una vicenda che, nell’arresto eseguito ieri dalla guardia di finanza nei confronti del presidente della Publiepolis, vede soltanto il suo epilogo. Alberto Rigotti, 64 anni, è infatti finito in manette per bancarotta fraudolenta della concessionaria di pubblicità del gruppo editoriale che pubblicava il quotidiano a livello nazionale nel corso di un’operazione de finanzieri di Cagliari, Roma, Milano e Como. Il crollo sarebbe avvenuto sotto il macigno di un buco di quasi quindici milioni di euro. Insieme all’imprenditore trentino che era subentrato al fondatore della testata Niki Grauso nella proprietà del gruppo, sono stati arrestati altri due componenti del cda. Si tratta di Sara Cipollini, 42 anni di Legnano, vice presidente di Publiepolis, e del consigliere d’amministrazione Vincenzo Maria Greco, 69 anni originario di Napoli ma residente a Roma. Per i due sono scattati gli arresti domiciliari, mentre Rigotti è stato tradotto in carcere.
E’ soltanto uno dei capitoli dell’avventura editoriale che aveva attirato interessi ed investimenti anche dal mondo politico-finanziario. Basti pensare al coinvolgimento di Marcello Dell’Utri o di Vito Bonsignore, quest’ultimo tra i soci che aveva dato il via libera all’aumento di capitale da 20 milioni di euro, nel 2009. Secondo le indagini il fallimento della Publiepolis sarebbe stato una conseguenza di malagestione finalizzata a favorire, senza alcun giustificato motivo, alcuni creditori in danno di altri.
E’ infatti emerso che dal 2007 al 2010 sarebbero stati utilizzati beni della Publiepolis per pagare i creditori della sua capogruppo, la Epolis, senza alcuna tutela per la “par condicio creditorum” con tanto di dissimulazioni documentali. L’ordinanza firmata dal gip della Procura di Cagliari – la sede di Epolis si trovava nel capoluogo sardo – parla di “pericolo di reiterazione del reato di bancarotta fraudolenta”. Si farebbe riferimento a precedenti fallimenti di altre aziende che vedono coinvolto Rigotti. E, d’altronde, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria cagliaritana avrebbero passato al setaccio tutte le carte del fallimento di Publiepolis, scoprendo false fatturazioni e documenti che sarebbero serviti per pagare soltanto alcuni creditori. Sono venuti a galla casi in cui sarebbero state consegnate ai creditori auto acquistate dall’azienda come pagamento, anche se i mezzi avevano un valore superiore al debito. Un calvario che nel frattempo tutti i giornalisti, assunti con contratti nazionali articolo 1 e 2, erano costretti a subire. Al momento dell’acquisto da parte di Rigotti, infatti, il quotidiano non andava in stampa già alcuni mesi.
Ma poco prima della partenza dell’edizione palermitana erano andati via i due direttori storici, Antonio e Gianni Cipriani ed era arrivato Vincenzo Cirillo da Repubblica. Pochi mesi dopo era stato Dell’Utri a lasciare gli incarichi nel cda dell’editrice e nella concessionaria Publiepolis. Una decisione ufficialmente presa per divergenze editoriali con Rigotti, ma la crisi del mercato pubblicitario avrebbe fatto il resto e il crac sarebbe stato sempre più vicino, considerando anche che i giornali free press non hanno mai convinto gli inserzionisti. L’acquisto di spazi pubblicitari all’interno delle testate cominciava infatti ad andare sempre più a rilento. Lo stop delle pubblicazioni, con il fallimento ufficiale ha travolto, oltre ai 131 giornalisti, più di trenta poligrafici, finiti in cassa integrazione e ha segnato il definitivo tramonto di un sogno editoriale anche a Palermo.