14 Gennaio 2016, 06:23
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PALERMO – Nessuno vede. Nessuno provvede. E la mafia accumula patrimoni. L’avvocato Marcello Marcatajo usava i soldi della curatela fallimentare come se fossero i suoi. Firmava assegni appoggiati sul conto corrente della Kemonia, una srl palermitana che il Tribunale di Palermo aveva affidato al civilista arrestato per riciclaggio. È accaduto per un attico in via Jung e per alcuni box in via Corradini. Marcatajo, amministratore di una società, secondo l’accusa, comprava gli immobili con i soldi della Kemonia – mancano all’appello 215 mila euro – e poi li trasferiva nella disponibilità delle società dei Graziano. Altre volte, per ripulirli, faceva finta di acquistare immobili dalla famiglia mafiosa firmando dei preliminari che non venivano concretizzati.Oppure accendeva mutui bancari con le società a lui intestate e poi pagava le rate con soldi dei boss. .
La cronaca del blitz di due giorni fa impone una nuova riflessione sulla gestione della sezione Fallimentare del Tribunale palermitano. I pubblici ministeri si chiedono come sia potuto accadere che nessuno si sia accorto della mala gestio dei soldi della Kemonia. Neppure i giudici che avevano nominato il legale nella curatela fallimentare. Non è escluso che Marcatajo possa avere fatto carte false per nascondere le operazioni illecite e farsi beffa dei controlli. In ogni caso il sistema ha mostrato delle falle su cui adesso indagano i magistrati e la Polizia valutaria. I finanzieri hanno prelevato nello studio dell’avvocato, in via Enrico Albanese, i faldoni del fallimento Kemonia e degli altri nove affidati dal Tribunale al professionista. Ce ne sono ancora otto aperti. Questo l’elenco completo: impresa individuale Virzì Cinzia, Siciliana Precompressi srl, Doma srl, Kemonia srl, Gurfa scarl, Casarubea Maria Silvana, Ditta Figli di G.B. Marino, Spera Antonio, Fin Leasing. Lito Sud. Tranne Kemonia e Gb Marino sono tutte procedure ancora in corso. Dal primo screening dei documenti emergono già delle irregolarità.
Irregolarità di cui, ed è un altro dato di cronaca, neppure i notai che hanno rogitato le compravendite di diversi immobili si sono accorti. Eppure, secondo gli investigatori, era impossibile non notare che gli assegni – circolare e non trasferibili – utilizzati per pagare gli immobili fossero intestati a persone o società che nulla avevano a che vedere con venditore e acquirente. Per uno dei notai, il cui nome si è ripetuto negli affari, secondo i pm Tartaglia, Del Bene, Picozzi e Luise, ci sarebbero stati i presupposti per un’incriminazione. Nel frattempo, però, il professionista è deceduto. Per tutti gli altri, e sono tanti quelli che popolano le carte giudiziarie, gli accertamenti sono in corso.
Si ripropone da subito un tema caldo agli investigatori: di fronte alla mole di indagini che smascherano eserciti di prestanome resta lettera morta l’obbligo dei professionisti iscritti agli ordini di segnalare operazioni commerciali e finanziarie sospette. Non siamo al cospetto di disperati che si intestano una società in cambio di poche centinaia di euro – accade anche questo -, ma di professionisti esperti. La legge anti riciclaggio obbliga tutti – banche, intermediari finanziari, notai, avvocati e commercialisti – a segnalare le operazioni sospette. In Italia esiste l’Uif, l’unità di informazioni finanziarie a cui dovrebbero pervenire le segnalazioni. Nell’ultimo triennio i numeri delle segnalazioni sono prossimi allo zero. L’anno scorso il colonnello Calogero Scibetta, il comandante del Nucleo di Polizia Valutaria che ha coordinato il blitz di due giorni fa, scelse proprio un convegno di notai per dire che era giunto il momento di essere davvero trasparenti. Non è un caso che il procuratore Francesco Lo Voi, proprio ieri, abbia annunciato l’impiego delle risorse più qualificate per stanare i professionisti al soldo dei boss. O, peggio, in combutta con i capimafia.
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14 Gennaio 2016, 06:23