5 luglio 1999. C’è caldo a Palermo. Quel caldo polveroso che solo lo scirocco sa fare. Quando in ufficio i condizionatori funzionano, viene voglia di restare ancora un po’ a lavorare. Come se il mondo fuori fosse dentro ad un televisore. Tanto chi lavora ha sempre qualcosa da fare, per uno strano incantesimo non si finisce mai. Se non hai ancora da leggere o da scrivere l’ennesima relazione, devi comunque riordinare le carte. Se proprio non sei un disgraziato devi curare i rapporti con i tuoi collaboratori e ci vuole tempo e pazienza. Capire dove sono gli intoppi, i gap che arrestano il sistema o solamente colmare l’insoddisfazione tua e loro nel fare un lavoro dove non vedi e non tocchi, quasi mai, il risultato. Tutti hanno una storia da raccontare, un problema da risolvere, un’attesa da soddisfare. Il difficile è conciliare l’esigenza di efficacia ed efficienza di un’organizzazione con le aspettative del personale ed ancor di più, far sì che le aspettative del personale diventino strumenti di efficacia ed efficienza.
Ma esiste una vita fuori, fatta di mogli, figli, mariti, genitori, amici a cui dai poco e da cui ricevi molto. Sono passate le 15 e c’è caldo. Con i pensieri in testa di chi sa di lasciare sempre qualcosa d’incompiuto, perché sei fatto così, troppo preciso e troppo orgoglioso. Anche se sai che la perfezione non esiste, ci provi, nessuno dovrà dire che gli atti da te prodotti sono imperfetti o che il lavoro non è stato svolto a dovere. Vai dritto verso la tua macchina, ti metti al volante, la ruota è tagliata, tre colpi di pistola e poi silenzio. Filippo Basile e stato ucciso così. In un primo pomeriggio d’estate palermitana, alla fine di una normale giornata di lavoro, nel rispetto della tradizione: nessuno ha visto e sentito niente. Ulderico Cappucci, past president di AIF, era solito dire che Fippo Basile era un uomo normale che faceva cose normali. Amava il proprio lavoro con passione. Quando parlava di un’idea, di un’iniziativa che voleva avviare, riusciva a trasmettere il suo entusiasmo che si contrapponeva all’immagine altera e compita. Aveva la capacità di incarnare la dignità di essere un servitore dello Stato. Non era certo un uomo per tutte le stagioni, non era neanche un uomo, che pur di restare a galla per avere una nomina nel bosco o nel folto sottobosco della pubblica amministrazione, era disposto a scendere a compromessi.
Non era uno yesman. Filippo non apparteneva a nessuno, era libero, certe volte scostante e odiava l’idiozia del servilismo. Il lavoro, per Filippo Basile, era prima di tutto. Avrebbe potuto non istruire e non mettere alla firma dell’Assessore quella pratica che riguardava Velio Sprio che con tanta solerzia si aggirava negli uffici che contano. Questo genere di cose Filippo Basile non le poteva capire, ma soprattutto non le voleva capire. Le regole sono regole e valgono per tutti: amici e nemici. Non cambiano per i portatori di pacchetti di voti. Quello che si doveva fare andava fatto. Senza se e senza ma. Anche se era un Dirigente amministrativo, come oggi piace dire un burocrate, sapeva perfettamente che non era più eludibile il passaggio dal modello burocratico piramidale a quello culturale, compartecipativo, relazionale. Individuava nella formazione lo strumento più idoneo per l’attuazione delle politiche di riforma delle pubbliche amministrazioni. Riconosceva, inoltre, nella formazione il punto di incontro fra le potenzialità e i bisogni dell’individuo e le potenzialità e i bisogni dell’organizzazione. Le organizzazioni apprendono solo quando le conoscenze e le competenze sono condivise, cioè quando l’informazione diventa accessibile a tutti e si crea un collegamento organico tra conoscenza/competenza individuale e trasferimento dei saperi, in un ottica di ridistribuzione dell’apprendimento.
Per questo diede vita a progetti formativi mirati alla crescita professionale del personale attraverso l’acquisizione delle competenze necessarie per lo svolgimento dei nuovi ruoli e dei nuovi compiti. Perché di nuovi ruoli e di nuovi compiti, si parlava e ahimè parla ancora l’attuale riforma. Come dice Crozier la burocrazia è “un sistema organizzativo che non è capace di correggersi in funzione dei suoi errori e le cui disfunzioni sono uno degli elementi essenziali del suo equilibrio“. Per quanto fosse austero, era un amabile collega con le sue simpatie e antipatie. Appassionato di storia, affascinato dall’informatica della quale coglieva l’importanza strategica che a breve avrebbe avuto stravolgendo la maniera di lavorare di tutti noi, era anche un creativo, nel giro di un anno fece diventare uno stanzone polveroso un centro di documentazione informatizzato, una biblioteca che ancora oggi ne porta il nome. Un uomo di gran cultura e voglia di crescere dotato di una intelligenza morale che trasmetteva in maniera a volte anche impetuosa.
Il premio è nato così come è stato raccontato Insieme all’allora presidente della delegazione regionale AIF Luigi Maria Sanlorenzo e un collega dell’Assessorato, siamo andati a chiedere alla moglie Maria Rita Bongiorno se avesse acconsentito a legare il nome di Filippo Basile ad un premio rivolto a tutte le Pubbliche Amministrazioni che attuano politiche e strategie di formazione del personale. Lei acconsentì e questa richiesta fu rappresentata a Milano nel 2001 durante un direttivo presieduto da Franco Angeli, anch’egli un uomo “normale”, tanto colto quanto modesto, un vero modello di comportamento a testimonianza che l’arroganza e la presunzione appartengono solamente ai mediocri. Nella conferenza stampa del febbraio 2001, ne disegnò in maniera straordinaria il profilo: “Maestro non è colui che sa, ma colui che traccia per primo una strada sulla quale altri cammineranno: per un tratto, spesso il più difficile, egli la percorre, la indica a coloro che attendono un orientamento, la annuncia a quanti cerchino una direzione da seguire. Spesso si diventa Maestri per caso, per quelle circostanze inaspettate che la vita ci pone davanti e che la libertà dell’uomo potrebbe anche far rifiutare, svoltando comodamente al primo dei tanti vicoli che la vita offre a chi volesse nascondersi nella comodità dell’anonimato. E’ quello il bivio in cui si diventa Maestri, e lì la scelta che trasforma uno tra tanti in uno da seguire. Filippo Basile avrebbe potuto imboccare uno di quei comodi vicoli e corridoi di cui sono piene tutte le Organizzazioni ma ha preferito non farlo. Lontano dalla luce dei riflettori, a microfoni spenti, in compagnia di pochi altri collaboratori, è andato avanti, inconsapevole forse di diventare un Maestro, consapevole certamente di ciò che andava fatto per essere all’altezza della propria dignità di uomo e di pubblico funzionario”.
Per due anni il premio è stato assegnato ad amministrazioni regionali poi, come giusto che fosse, è diventato patrimonio di tutti. Perché la memoria non venga distrutta dal tempo, perché la cultura del cambiamento non appartenga solo a giovani eroi, per non morire del proprio lavoro e d’onestà, per la il coraggio che Filippo Basile ci ha insegnato. Questo premio nato perché venga fuori il meglio delle pubbliche amministrazioni si contrappone a quanto di peggio queste possano fare. E non c’ è di peggio che lasciare soli i propri uomini, i propri servitori che credono e che lottano per una società più giusta, per un futuro migliore da regalare alle nuove generazioni.
Donatella Schembri