PALERMO – Francesco Guttadauro sarebbe stato davvero il braccio operativo dello zio, il latitante Matteo Messina Denaro. È l’accusa con cui è finito in carcere nel 2013. La conferma del ruolo di vertice del “nipote del cuore” del padrino – è figlio di Filippo (postino di Bernardo Provenzano ndr) e di Rosalia, sorella del latitante – arriverebbe dalle parole di Vincenzo Giambalvo, tra gli undici arrestati del blitz di ieri.
Giambalvo riferiva a Domenico Scimonelli, pure lui in cella, il contenuto della discussione avuta con Vincenzo La Cascia, sorvegliato speciale di Campobello di Mazara. Quest’ultimo aveva appreso che Lorenzo Cimarosa, cugino del latitante che ha scelto di collaborare con la magistratura, “… si lamentava di un nipote dice questo da Palermo viene da Bagheria dice perché deve venire a comandare qua lui dice…”.
Cimarosa, dunque, avrebbe mal digerito che qualcuno, sebbene fosse il cugino del padrino, avesse preso le redini della famiglia, fosse arrivato da un’altra città per comandare in terra trapanese. A sgombrare il campo dai dubbi era Vito Gondola, che confermava la legittimità di Francesco Guttadauro a ricoprire il ruolo di vertice: “Ma lui non è di fuori paese… lui è… lì è nato la madre è di lì perciò non è che è di fuori paese”.
Scimonelli, d’altra parte, riteneva che se Guttadauro aveva preso il sopravvento la colpa era anche di Cimarosa, inadeguato a gestire gli affari: “Vuol dire che tu non sei abile per fare venire uno di fuori paese vuol dire che tu non sei abile”. L’ultima parola spettava ancora a Gondola che, intercalando un lapidario “lasciamo perdere”, tagliava corto: quella di Cimarosa era stata “una pisciata fuori u rinale”.