PALERMO – “… vediamo se ci riusciamo, così metterei tutte cose al sicuro”, diceva Paolo Genco. Il presidente dell’Anfe, da stamani agli arresti domiciliari, discuteva con l’imprenditore Baldassare Di Giovanni su come tentare di schermare l’enorme patrimonio immobiliare che, secondo l’accusa, aveva comprato con i soldi pubblici. I finanziamenti, regionali ed europei, che avrebbero dovuto formare i siciliani desiderosi di imparare un mestiere, sarebbero invece finiti nelle tasche di uno dei potenti uomini della formazione professionale. Che li avrebbe utilizzati per compare case, terreni, locali commerciali e magazzini intestati alla società “La Fortezza”, amministrata da Di Giovanni, e in parte a Paola Tiziana Monachella, responsabile dell’Anfe di Castelvetrano, coinvolta nella presunta frode.
Sotto inchiesta, oltre a Genco, Di Giovanni e Monachella, sono finiti anche Aloisia Miceli (direttore amministrativo dell’ente) e Rosario Di Francesco (direttore della Logistica della delegazione regionale Sicilia Anfe).
Il 10 novembre 2015 i finanzieri hanno fatto irruzione nei magazzini palermitani della General Informatic Center di Di Giovanni in via Perpignano, Paolo Gili, Grotte di Partanna, Maggiore Toselli, Mario Trapassi, Velasquez e in piazza Principe di Camporeale. A giudicare dal materiale che risultava noleggiato all’Anfe i locali avrebbero dovuto essere pieni di roba. Ed invece i finanzieri vi trovarono il nulla o quasi, tanto da raggiungere “la fondata conclusione che tale società non sia stata e non sia ancora in realtà operativa nel settore della compravendita di materiale informatico”.
Era lo stesso Di Giovanni, dopo le perquisizioni, in un dialogo con una sua collaboratrice, ad ammettere senza sapere di essere intercettato la difficoltà di dimostrare la veridicità delle forniture. “Anche perché molte volte si fatturava tutt’altro rispetto a quello che poi veniva dato anche in locazione… soprattutto in locazione”, spiegava la donna. Un’altra volta, a bordo della sua Mercedes, Di Giovanni sbottava: “… perché io non so come loro riescono a capire… quando mi dicono fammi dieci fatture… di cose… cancelleria… ma tu non capisci che mi stai chiedendo una cosa…”. Sarebbe la prova che le forniture di computer, stampanti e di tutto ciò che serviva per i corsi sarebbero state gonfiate. Era il metodo attraverso cui sarebbe stata creata una cassaforte con denaro liquido da spendere negli investimenti immobiliari. La conferma è arrivata dall’analisi delle scritture contabili. Un solo esempio: nel 2012 e 2013 la General Informatic Center ha comprato 80 computer, eppure risultava che all’Anfe ne avesse noleggiato 296.
I soldi incassati indebitamente sarebbero serviti a Genco per comprare decine e decine di immobili, molti dei quali intestati alla Monachella. Di Giovanni suggeriva a Genco: “C’è da alleggerire un po’ il patrimonio immobiliare”. “Tante cose me li devo intestare su Tiziana”, aggiungeva Genco. Erano davvero troppi, tanto che Di Giovanni consigliava al presidente dell’Anfe: “… una volta che te li intesti parla con il notaio… poi si può fare un fondo per i tuoi figli.. si devono cercare di vendere subito, però voglio dire se tu… vuoi toglierteli puoi fare già un fondo dal notaio, cioè una donazione ai tuoi figli”. Genco: “che…. non sono attaccabili”. “Sono inattaccabili, è una forma di donazione”, continuava Di Giovanni. E Genco concludeva: “sì… sì… vediamo se ci riusciamo, così metterei tutte cose al sicuro”. Non è andata come sperava. Stamani sono stati sequestrati 41 immobili per un valore di quasi due milioni di euro.