Trenta abitanti ostaggio di oltre 2000 capre. Accade a Ginostra, un piccolo villaggio nella parte sud-occidentale dell’isola di Stromboli. Negli ultimi mesi il numero degli animali è cresciuto in maniera incontrollata, mettendo a rischio coltivazioni e perfino la stabilità degli spazi abitati.
Gli abitanti, esasperati, hanno lanciato l’allarme anche dai microfoni di “Dentro la notizia”, il nuovo contenitore pomeridiano di Canale 5 condotto da Gianluigi Nuzzi.
Ginostra invasa dalle capre, la rivolta degli abitanti
Le 2.200 capre, in cerca di cibo, hanno invaso i piccoli appezzamenti agricoli che rappresentano una risorsa vitale per i residenti, compromettendo raccolti di ortaggi, frutta e piante aromatiche. I danni, oltre a colpire la sussistenza diretta degli abitanti, rischiano di avere ripercussioni anche sul fragile equilibrio ambientale dell’isola.
“Divorano di tutti”, denunciano gli abitanti. Un’anziana mostra il cancelletto costruito per non farle entrare in casa. “Altrimenti ce le troviamo in camera da letto”, dice. “Mi devo alzare all’alba per scacciare le capre. Questa non è vita che si può fare”, sbotta un altro.
Gli abitanti di Ginostra: “Le capre provocano frane”
“Non riusciamo a liberarcene. Dobbiamo fare la guardia ai campi, alle case, ai terrazzi, ai tetti. È mai possibile che lo Stato non può intervenire?”, si chiede un cittadino.
Qualcuno si commuove: “I capperi sono il simbolo di Ginostra, un frutto sacro grazie al quale intere generazioni hanno resistito in questo posto. Io li raccolgo da quando avevo 8 anni e andavo con i miei genitori sulle montagne dello Stromboli. Penso che il prossimo anno non ci saranno più. Mi duole il cuore nel vederli scomparire”.
Un cittadino evidenzia i pericoli per l’intera comunità: “Alle prossime piogge rischia di venir giù il villaggio perché provocano dissesto. Camminando sui costoni, provocano frane”.
Avvicinarle è difficile e rischioso
“Le capre che ci vengono a trovare nelle nostre abitazioni, vanno sui tetti, fanno i loro bisogni – racconta un altro – Da questo tetto raccogliamo l’acqua che va nel pozzo, poi l’attingiamo col secchio, la bolliamo, mettiamo la pasta e ce la mangiamo”.
Avvicinarle non è però così semplice e comporta dei rischi, come sottolinea il funzionario della Regione Siciliana contattato dall’inviato Michel Dessì. “Sono due anni che ci tentiamo ma le ditte che abbiamo contattato sino a ora hanno fallito”, confessa. Gli animalisti le difendono.

