Giuseppe Francese, vittima del dolore: il sorriso che manca

Giuseppe Francese, vittima del dolore: il sorriso che manca

Vent'anni fa accadeva l'irreparabile, in una storia di lacrime. E di speranza.

Vorremmo ancora salutarlo, Giuseppe Francese, figlio di Mario, sorridergli e ricevere in cambio il suo sorriso caldo, che spuntava immancabilmente da una selva di pensieri aggrovigliati, come i sentimenti. Ma non possiamo, da vent’anni, da quando non è più tra noi. Fu lui stesso a scrivere la parola fine in calce alla sua pagina, con un suicidio che sconvolse tutti quelli che lo conoscevano e gli volevano bene, quelli che l’avevano incontrato anche solo fugacemente, quelli che conoscevano i suoi familiari, quelli che amano Mario Francese, quelli che vogliono bene a Giulio, anche lui figlio di Mario e fratello di Giuseppe.

Ed è il dolore che ci viene ancora davanti agli occhi, se pensiamo a Giuseppe, ai suoi stessi occhi determinati e in guerra per la verità e allo sguardo di Giulio che si accende a tratti e si infiamma, sorretto dalle spalle larghe, per ritornare nel perimetro di un confine che è lotta e mai rassegnazione, ma è pure una memoria di colpi presi, di coltellate al cuore, di ferite che non saranno rimarginate. Mario Francese, cronista assassinato dalla mafia. Giuseppe Francese, suicida il tre settembre del 2002, vittima dell’onda lunga di una mutilazione e, anche lui, di mafia. Gli altri ci sono, certo, abbracciano, stringono, confortano, ce la mettono tutta. Ma poi aprono una porta e rientrano nella loro esistenza, in luoghi protetti.

Così non è per chi è stato sfregiato da una perdita immane. E, se allo sfregio, si aggiunge una violenza che è dannazione, che è storia, allora non sembra possibile trovare riparo. Non c’è rifugio, se le lacrime private non possono divincolarsi da una vicenda collettiva, come la ributtante Cosa nostra e la sfolgorante speranza di chi la combatte, di chi l’ha combattuta, fino alla propria morte. Sono le tue lacrime e quelle di tutti.

Giulio Francese ha scritto su Facebook: “Il 3 settembre di 20 anni fa mio fratello Giuseppe decise di lasciarci, doveva fare 36 anni. È un anniversario doloroso per me e la mia famiglia, una ferita ancora aperta. Giuseppe era l’allegria, la spensieratezza, ma anche il dolore soffocato dentro per molto tempo. Un dolore che l’ha corroso dentro ma che non gli ha impedito fino all’ultimo di portare a termine la sua missione di rendere verità e giustizia a nostro padre. Ci ha insegnato a non rassegnarci, ci ha spinti a lottare per abbattere il muro di silenzio, ha cominciato a leggere tutto sulla mafia, a scrivere. È stato un gigante che ha sfidato le sue fragilità ed ha pagato un prezzo altissimo”.

E ancora: “Venti anni dopo vogliamo ricordare il ragazzo sorridente, sempre pronto alla battuta, generoso. Vogliamo ricordarlo non nel giorno della morte ma in quello del compleanno, 56 anni, perché Giuseppe è ancora vivo nel cuore di molti, non solo della sua famiglia. Lo ricorderemo perciò a Palermo il 9 settembre dalle ore 17 a Palazzo Montalbo, in via dell’Arsenale 52, sede del Centro regionale per la progettazione e il restauro”. L’evento è patrocinato dall’Ordine dei giornalisti.

Giuseppe che, come Giulio e la sua famiglia, ha cercato ogni dettaglio sull’omicidio del padre. Che fu illuminante con le sue intuizioni, con la sua ricerca. Mario Francese era stato assassinato per la sua anima di segugio, perché, in quella città in bianco e nero, si tuffava su qualunque sentiero che conducesse a un brandello di storia o di notizia, che raccontasse le mani di Cosa nostra strette intorno alla gola di Palermo e della Sicilia.

Per qualcuno, forse, sarà il passato, sarà un’anticaglia una simile passione civile da giornalisti, estranea a furori e a complicità, precisa nelle sue ricostruzioni, onesta e capace di mettere insieme i fatti, senza teoremi da dimostrare. Ma, per chi ama questo lavoro, quella di Mario Francese resta una lezione immortale, nella semplicità quotidiana che non frequenta la retorica. Ed è la stessa lezione che abbiamo appreso da Giulio. Com’è immortale il sorriso di Giuseppe, capace di spalancare finestre di nebbia per raccontare il sole di un ragazzo buono e generoso. E quel sorriso manca, come l’abbraccio che non può più essere né dato, né preso. (Roberto Puglisi)


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