PALERMO – Non fu estorsione, ma esercizio arbitrario delle proprie ragioni oramai prescritto. La quarta sezione della Corte di appello, presieduta da Vittorio Anania, ha accolto il ricorso degli avvocati Giovanni Castronovo e Maria Simona La Verde.
Ribaltato il verdetto di primo grado che aveva inflitto pene severe che andavano da 4 anni e 11 mesi a 7 anni e 6 mesi.
Chi sono gli imputati
Gli imputati sono sette, tutti palermitani: Girolamo Carlino, Gianluca Carlino, Viviana Abbruzzese, Antonio Abbruzzese, Giuseppa Pizzo, Giovanni Carlino e Fabio Federico.
La ricostruzione dei fatti
Secondo la ricostruzione accolta in primo grado, Nicolò Carlino, nipote di Girolamo Carlino, rilevò la gioielleria “Laura Preziosi” dove lavorava lo zio. Costituirono una società di fatto che andò in frantumi dopo pochi mesi.
Girolamo Carlino, oltre allo stipendio mensile per le sue prestazioni da orafo, chiese anche una parte degli utili. Solo che il nipote avrebbe negato che fossero soci in affari.
Dopo alcuni tentativi di mettere a posto le cose bonariamente, il 30 novembre 2016 i sette imputati si presentarono nella gioielleria con cattive intenzioni. Volarono parole grosse e qualche spintone.
Nicolò Carlino chiuse la vicenda versando al parente duemila euro. Due mesi dopo però lo denunciò per estorsione.
Secondo il Tribunale si era trattato di una spedizione punitiva per ottenere una somma di denaro non dovuta. La Corte di Appello, condividendo la tesi difensiva, ha ritenuto che non ci fu minaccia. Niente estorsione perché il credito vantato era legittimo ma un caso di giustizia fai da te.
Il reato è stato riqualificato nel meno grave esercizio arbitrario ed è caduto in prescrizione. I fatti sono del 2016.

