PALERMO – Da un lato, una montagna da due miliardi di euro. Dall’altra, un “gruzzolo” da 60 milioni. Attorno a queste cifre si svolge il braccio di ferro tra la Regione e la Corte dei conti in vista del prossimo assestamento. Una manovra correttiva che potrebbe costringere la Regione, nel caso in cui venisse confermato l’orientamento dei magistrati contabili, a un disperato tentativo di reperire una somma monstre.
Due miliardi. O forse un po’ di meno, stando ai calcoli degli uffici dell’Economia. Ma comunque, il rischio che all’Ars giunga una “manovrina” da almeno 800 milioni è forte. E si tradurrebbe, necessariamente, in tagli netti e dalle pesanti conseguenze alla spesa della Regione.
E così, il governo Musumeci ha deciso di ricorrere alle Sezioni riunite della Corte dei Conti citando in giudizio le Sezioni Riunite per la Regione Siciliana in sede di controllo. Il ricorso è presentato contro l’ultimo giudizio di parifica nella parte in cui “perviene al calcolo di un disavanzo complessivo da recuperare nel 2017 nell’ammontare di 2.145,90 milioni di euro e conclude che lo stesso debba perciò essere oggetto di manovra correttiva da parte della Regione”. Un macigno finanziario che il governo regionale vuole evitare. Il ricorso è presentato dagli avvocati dell’ufficio legislativo della Regione per conto del presidente della Regione, dell’assessore all’Economia e del Ragioniere generale.
Per la Regione, infatti, non è quella la somma da recuperare col prossimo assestamento. Il disavanzo, infatti, è costituito da diverse voci, alcune delle quali, fanno sapere dal Bilancio, sono regolate da norme che consentono di spalmare questo “debito” in più anni, fino a trenta. Così, per il governo Musumeci, l’unica somma da recuperare immediatamente attraverso l’assestamento è la quota di disavanzo frutto di quello che tecnicamente viene definito “riaccertamento straordinario”. Una somma assai diversa da quella imposta dalla Corte dei conti. Non due miliardi, appunto, ma 59,6 milioni di euro.
Come detto, la vicenda prende le mosse dall’ultimo giudizio di parifica. La parte dolente della relazione sul rendiconto della Regione 2017 riguardava appunto il disavanzo d’amministrazione. I giudici contabili scrivevano che “la quota non recuperata dovrà essere oggetto di manovra correttiva di bilancio”. La relazione evidenziava che “la Regione non solo non è riuscita a garantire il recupero delle quote di disavanzo applicate nell’anno, pari a 1.955,99 milioni di euro, ma ha anche generato un nuovo disavanzo della gestione, pari a 189,91 milioni di euro, per un totale complessivo di 2.145,9 milioni di euro”.
Secondo la Regione, però, i magistrati sarebbero andati oltre i loro “compiti”. Secondo l’argomentazione del ricorso, infatti, la conclusione cui la Corte dei Conti siciliana perviene in ordine al (mancato) ripiano del disavanzo costituirebbe “anomalo esercizio della funzione di parifica tale da ledere sia l’interesse della Regione che l’interesse pubblico generale”.
Nel ricorso, si fa notare anche che “la Regione Siciliana ha indicato le singole coperture del Risultato di Amministrazione al 31 dicembre 2017, già determinate sulla base delle quote annuali di ripartizione dei Disavanzi degli esercizi precedenti, precisando che per la differenza non coperta si sarebbe provveduto nel triennio 2018/2020 in sede di assestamento da effettuarsi nel 2018. Tale metodologia – prosegue il ricorso – è stata seguita dalla Regione Siciliana anche per il Risultato di Amministrazione dell’esercizio 2016, come rappresentato nella corrispondente Relazione al Rendiconto e per la quale le Sezioni Riunite di controllo della Corte dei Conti non hanno sollevato alcuna osservazione”. E infatti il ricorso fa riferimento alla parifica del 2016 dove questo genere di rilievi non sono stati sollevati, seppure, applicando il metodo interpretativo utilizzato stavolta dalla Corte dei Conti, sarebbe emerso l’obbligo di recuperare quasi un miliardo e mezzo. Da qui, i ricorrenti scrivono che “risulta evidente come nell’odierna decisione – contraddittoria con la precedente definitiva statuizione – risultino violati logicamente i principi del legittimo affidamento e della buona fede, e cioè l’interesse di chi confida in una certa situazione che si è definita nella realtà giuridica”. Ma la “guerra” dei conti potrebbe essere solo all’inizio. Sono già in corso, infatti, colloqui col Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’obiettivo è quello di verificare la possibilità, nel caso in cui la Corte dei conti dovesse ribadire la necessità di recuperare quella somma enorme, che si possa intervenire con una legge. Da approvare a Roma. O casomai in Sicilia. Per evitare di avviare la caccia disperata a due miliardi di euro, nell’esangue bilancio della Regione.