Gozzo: "Quel 41 bis| a un uomo già morto" - Live Sicilia

Gozzo: “Quel 41 bis| a un uomo già morto”

Il magistrato: "Rimpiango quella fuga di notizie quando sembrava che il boss potesse collaborare".

Provenzano
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PALERMO – “È morto Bernardo Provenzano. Un uomo di mafia. Un Capo. Una persona che ha commesso tanti omicidi e traffici illeciti, e tante altre cose che non basterebbe questa pagina. Non lo conoscevo. Non gioisco, non l’ho mai fatto, mi pare barbaro. Lo facevano i mafiosi dopo gli omicidi eccellenti e le stragi. Ed io voglio essere diverso”. Così su Facebook il magistrato Nico Gozzo, sostituto procuratore generale di Palermo, che ricorda un episodio rimasto avvolto da ombre.

“Mi rimangono due “rimpianti” – prosegue il magistrato -. Mi rimarrà sempre il dubbio che quel 31 maggio 2013 tutto potesse andare diversamente. Quando, cioè, Provenzano espresse timidamente, e già provato psichicamente, la possibile volontà di collaborare alla Procura di Palermo. Che era andata a sentirlo senza noi di Caltanissetta, nonostante diversamente si fosse deciso. Peccato per una fuga di notizie che immediatamente accadde, e che produsse l’inaridimento della possibile importantissima fonte di dichiarazioni. Senza contare che poi accaddero una serie di eventi, di cui si è occupata la stampa (si ricorderà la foto di Provenzano con un ematoma sulla testa)”.

Il tema della “mancata collaborazione” di Provenzano è stato richiamato oggi anche dal senatore Beppe Lumia: “Manca – dice Lumia – il “Provenzano collaboratore”. Forse sarebbe stato impossibile, ma con i miei occhi e con le mie orecchie nel carcere di Parma a 30 centimetri di distanza ho colto in Provenzano un’apertura senza precedenti. Un’apertura che lo Stato doveva verificare fino in fondo, piuttosto che scatenare polemiche, fughe di notizie e divisioni”.

Il secondo tema di cui parla Gozzo sul social network è quello del 41 bis, il regime di carcere duro che per Provenzano si è mantenuto anche quando il capomafia era quasi in stato vegetativo. “In questo momento – dice il magistrato – , mi sento pure di dire che lo Stato italiano avrebbe potuto, in questi ultimi anni, marcare la propria differenza. Far sentire, nel momento in cui Provenzano “non ci stava più con la testa” , la differenza tra uno stato di diritto, che applica le norme, anche nei confronti di un mafioso – e dunque, se uno non ragiona e non comunica, non può essere pericoloso – e le belve di Cosa Nostra, che le regole le fanno solo a loro uso e consumo, calpestando sempre la vita umana. Ed invece si è voluto continuare ad applicare il 41 bis ad un uomo già morto cerebralmente, da tempo. Con ciò facendo nascere l’idea, in alcuni, che la Giustizia possa essere confusa con la vendetta. O che il diritto non è uguale per tutti. È ciò, per me, è inaccettabile”.


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