CATANIA – “Turbativa d’asta aggravata dal favoreggiamento alla mafia”, la nuova accusa a Mario Ciancio, arriva non da un pubblico ministero ma da un giudice di seconda istanza. La Corte d’Appello di Catania si è infatti accorta, dopo 14 anni di processo, del fatto che nessuno tra i pubblici ministeri che si sono succeduti negli anni, avesse notato la possibile presenza, ad alcuni degli incontri con i protagonisti accusati di aver truccato la gara dell’ospedale Garibaldi, dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo.
Il possibile ruolo dell’editore catanese deve essere ancora definito, visto che si tratta di ipotesi da verificare. Ma per queste presunte “dimenticanze” dell’accusa, l’avvocato Antonio Fiumefreddo, difensore di Giuseppe Cicero, unico condannato nel processo perché ha rinunciato alla prescrizione, ha annunciato la presentazione di un esposto al Csm contro l’ex Pm dell’inchiesta Nicolò Marino (VIDEO). Marino ha respinto le accuse: “La correttezza del mio operato è stata riconosciuta in tutte le sedi competenti”(INTERVISTA).
Il dispositivo della sentenza di secondo grado, anticipato da LivesiciliaCatania lo scorso 10 ottobre, prevedeva la trasmissione immediata degli atti a carico di Ciancio, direttamente alla Procura della Repubblica guidata da Giovanni Salvi. A quattro mesi di distanza, i legali di Mario Ciancio spiegano a LivesiciliaCatania di non aver ricevuto alcun avviso di conclusione indagini, né di essere stati contattati dalla Procura. Lo scorso 13 novembre poi, lo stesso Ufficio inquirente, ha ricevuto l’ordine, dal Gip Luigi Barone, di cestinare la richiesta di archiviazione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Ciancio e di procedere con nuove indagini che si concluderanno nell’aprile 2013. I legali dell’editore catanese, guidati dal luminare Vincenzo Musco, hanno sempre escluso, in piena sintonia con la visione della Procura etnea, ogni coinvolgimento di Ciancio in fatti di mafia, sottolienando che lo stesso ha sempre agito nel rispetto delle leggi e al di sopra di ogni sospetto. Non solo, Ciancio sarebbe stato vittima, secondo le ricostruzioni della difesa, di vere e proprie intimidazioni di stampo mafioso.
Tornando agli atti del processo Garibaldi, dalle indagini è emerso che gli imprenditori Umberto Romagnoli e l’appaltatore agrigentino Vincenzo Randazzo, grazie a gare d’appalto truccate, si sarebbo aggiudicati rispettivamente la costruzione del nuovo ospedale Garibaldi e la residenza universitaria Il Tavoliere.
Il giudice di Appello analizza per la prima volta, dopo 14 anni di processo, la perizia di Gioacchino Genchi, “da cui risulta chiaramente -si legge nelle motivazioni della sentenza- sulla base di agganci con la cella di telefonia mobile di S.Maria e limitrofe a Roma, che nella giornata dell’1 ottobre 1997 vi furono numerose telefonate tra Ciancio Sanfilippo Mario, con Ursino, e Firrarello e tra Firrarello e Cusumano, della circostanza che Romagnoli la mattina dell’1 ottobre lasciava la stanza presso l’hotel Excelsior di Catania prenotata per i giorni 29 e 30 settembre, per giungere a Roma ed entrare alle ore 21:00 al Colonna Palace di Roma, stanza prenotata per la sola notte dell’1 ottobre”.
A questo proposito, la Corte documenta l’esistenza di un errore nella sentenza di primo grado: la data della riunione organizzata per turbare gli incanti sarebbe sbagliata.
Il tribunale parlava del 21 ottobre 1997, un momento in cui la gara del Garibaldi era stata già espletata: per questo i partecipanti a quell’incontro non potevano truccare gli appalti e sono stati assolti.
L’incontro si sarebbe svolto il 2 ottobre 1997, “ossia un momento in cui tutto era ancora in gioco e doveva definirsi definitivamente la sorte di entrambi gli appalti”.
Altro indizio. L’esame della documentazione agli atti del processo, ma soprattutto le dichiarazioni dell’avvocato Cicero, “inducono a ritenere”, scrive il giudice, quindi è bene precisare che si tratta di ipotesi, “che alla riunione prese parte anche Mario Ciancio Sanfilippo, direttore del quotidiano La Sicilia, che tenuto conto di altro incontro, tenutosi presso il proprio ufficio, presso cui Ursino conduceva Cicero al fine di “indurli” (“fate le cose per bene”, avrebbe detto Ciancio), anche con l’espressa minaccia che altrimenti sarebbero finiti in carcere e sarebbe stato lui a scegliere la pagina su cui pubblicare le loro foto, a firmare la relazione di esclusione della società F.lli Costanzo, ebbe sicuramente un ruolo di primo piano, sia pure dietro le quinte, nella vicenda che ci occupa, tanto da interessarsi personalmente, minacciando prima Sciortino (cognato del giudice Caponcello) e Cicero il 28 settembre 1997, a firmare la relazione in parola e poi, partecipando alla riunione in Roma, unitamente a Firrarello, Cusumano, Castiglione, Romagnoli e Randazzo, alla definitiva spartizione dei due appalti tra detti due imprenditori, definendo i termini dell’accordo”.
Genchi esamina le telefonate. Analizzando i tabulati telefonici, Genchi ha ricostruito che nel pomeriggio dell’1 ottobre 1997, l’ingegnere Giuseppe Ursino, braccio destro di Ciancio, si recava a Roma. Alle 16:07 si trovava a Fiumicino, alle 16:57 a Roma S.Maria, dove contattava -ricostruisce Genchi- il numero uno de La Sicilia. Alle 17:55 a Roma S.Agostino, via Giovanna D’Arco, dove contattava l’avvocato Musco, attuale difensore di Ciancio e alle 18:04 il numero di cellulare della Fieg presieduta da Mario Ciancio. Nel pomeriggio dell’1 ottobre 1997 sarebbero avvenute “numerose telefonate” tra Ciancio e Ursino, Ciancio e Firrarello, Firrarello e Cusumano, soggetti tutti che si trovavano a Roma all’interno di un triangolo di 400metri, come si evince dalla localizzazione delle antenne telefoniche cui si agganciano i telefoni, nonché il motivo dell’arrivo a Roma del Romagnoli il pomeriggio dello stesso 1 ottobre ed il pernottamento presso il Colonna Palace per quella sola notte.
La turbativa della gara sarebbe avvenuta, secondo gli elementi raccolti nel processo Garibaldi, sotto l’occhio vigile di Cosa Nostra.
Secondo Maurizio Di Gati, reggente di Cosa Nostra per Agrigento, ad ospitare le riunioni per stabilire tutti i particolari dell’appalto, sarebbe sarebbe stata la ditta di autotrasporti dei fratelli Riela, azienda al centro di inchieste su massoneria e mafia oggi confiscata.
L’impresa vincitrice della gara avrebbe dovuto versare -secondo Di Gati- il 2% dell’importo dei lavori ai burocrati, il 3% ai politici che avevano appoggiato i lavori, e circa 600milioni di lire alla cupola di Agrigento anche sotto forma di subappalti.
I principali imputati di questo processo, iniziato 14 anni addietro, si sono avvalsi della prescrizione, tranne Giuseppe Cicero, che è stato condannato con la motivazione di aver favorito un’impresa che in realtà ha perso perché boicottata dal tavolino tra imprenditori, politici e mafiosi.
Su queste basi, lo scorso 10 ottobre è stata disposta con ordinanza la trasmissione degli atti alla Procura per “le determinazioni circa l’esercizio dell’azione penale nei confronti di Ciancio Sanfilippo Mario in ordine all’imputazione di turbata libertà degli incanti aggravata dal favoreggiamento alla mafia”.