CATANIA – Il figlio di Nitto Santapaola, Vincenzo, è condannato a 18 anni di reclusione. La sentenza è definitiva. Arriva per il figlio del padrino di Catania la condanna nel terzo grado di giudizio del processo (troncone ordinario) scaturito dalla maxi inchiesta Iblis che alcuni anni fa portò un ciclone non solo tra i vertici di Cosa nostra catanese ma anche nel mondo politico e imprenditoriale alle falde dell’Etna e del calatino. L’operazione del Ros e coordinata dai pm Antonino Fanara e Agata Santonocito ha fotografato e documentato collusioni e favori tra boss, colletti bianchi e uomini delle istituzioni tra il 2005 e il 2010.
Il processo per alcuni imputati però non è chiuso. La Cassazione infatti ha annullato rinviando ad un altra sezione della Corte d’Appello di Catania la sentenza nei confronti di Fausto Fagone, ex sindaco di Palagonia e deputato regionale, Giuseppe Rindone, gli imprenditori (considerati collusi dall’accusa) Giuseppe Monaco e Francesco Pesce, rispettivamente difesi dagli avvocati Franco Passanisi e Tommaso Tamburino. Le pene comminate dalla Corte d’Appello di Catania erano state pesantissime: Dai 12 agli 8 anni.
Annullata la sentenza anche per l’imprenditore Santo Massimino, difeso dagli avvocati Rosario Pennisi ed Enzo Mellia. L’imprenditore acese era stato assolto dalla Corte d’Appello di Catania, ma la Pg aveva impugnato il verdetto di secondo grado. La sua posizione, quindi, dovrà essere valutata da un’altra sezione della Corte d’Appello di Catania.
Passiamo a quello che gli investigatori considerano il reggente operativo della cosca Santapaola. Alla sbarra infatti vi è il boss Enzo Aiello, condannato in secondo grado a 9 anni. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per Enzo Aiello, difeso dall’avvocato Maurizio Punturieri, ed ha annullato (senza rinvio) limitatamente – si legge nel dispositivo – alla qualificazione del fatto contestato come estorsione consumata anziché come tentata estorsione, che ritiene, e ridetermina la pena in termini di continuazione in quattro mesi.
Ricorsi rigettati anche per Giuseppe Brancato e Rosario Cocuzza, la Suprema Corte però ha annullato con rinvio limitatamente all’aggravante mafiosa e ha rinviato a un altra sezione della Corte d’Appello che dovrà esprimere un nuovo giudizio su questo punto. I due erano stati condannato in appello a 4 anni.
Il boss Rosario Di Dio dovrà tornare in aula: la Cassazione ha annullato la sentenza rinviando ad una nuova sezione della Corte d’Appello di Catania per il calcolo della pena e l’omessa pronuncia sulla richiesta di riconoscimento della continuazione. La condanna di secondo grado è stata di 14 anni.
Rigettato il ricorso anche per Carmelo Finocchiaro ad eccezione dell’annullamento con rinvio per la qualificazione di un fatto contestato. La nuova sezione della Corte d’Appello di Catania dovrà quindi esprimere un nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio (la condanna di secondo grado è stata di 17 anni). Ricorso rigettato anche per Carmelo Mogavero, ma la Suprema Corte ha annullamento senza rinvio limitatamente ad una contestazione “perchè il fatto non sussiste” ed ha invece annullato con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello di Catania sull’aggravante mafiosa e sul trattamento sanzionatorio (Cinque anni la condanna di secondo grado).
Ricorso rigettato per il boss Pasquale Oliva: la Suprema Corte ha annullato la sentenza limitatamente a una contestazione e alla pena inflitta a titolo di continuazione. E sempre su Oliva la Cassazione ha dichiarato irrevocabile la sentenza impugnata per un reato contestato. In secondo grado Oliva è stato condannato a 12 anni e 4 mesi.
Rigettati invece in toto i ricorsi di Giovanni Buscemi (12 anni), Angelo Carbonaro (12 anni), Mario Ercolano (12 anni), Natale Ivan Filloramo (12 anni), Massimo Oliva (12 anni), Vincenzo Santapaola (18 anni), Tommaso Somma (12 anni) e Giuseppe Tomaselli (9 anni).
Le difese. I legali di Fausto Fagone Valerio Spigarelli e Luigi Cuscunà: “In attesa delle motivazioni della Corte – scrivono i legali – rileviamo come la decisione costituisca il primo passo verso la piena dimostrazione dell’innocenza di Fausto Fagone”.