PALERMO – Un calvario lungo quattro anni. Dal 30 aprile del 2012 sono alla ricerca di risposte, di elementi che possano contribuire alle indagini riaperte lo scorso febbraio. Per i familiari di Antonietta Giarrusso si sono riaccese le speranze: l’assassino della parruccaia di via Dante è ancora a piede libero e nonostante il tempo passi, il dolore sembra acuirsi.
“Soffriamo inevitabilmente per la perdita di mia zia, ma il fatto che il suo assassino non abbia un nome e cognome ci distrugge”, dice Daniela Carlino, la nipote della donna, che in questi anni si è trasformata in “detective”. Ha raccolto dati e informazioni per cercare di contribuire al lavoro degli inquirenti. “E in questi giorni ho consegnato, insieme al mio avvocato, una memoria in procura. Siamo riusciti ad ottenere l’elenco dei movimenti bancari di mia zia, spero possa servire a fare chiarezza”.
E, in effetti, uno degli aspetti sui quali le indagini si erano inizialmente concentrate, è stato quello patrimoniale. Sarebbero infatti venuti a galla strani movimenti di denaro e finanziamenti accesi per chiuderne altri. “Vorrei si facesse luce su questo fronte, mia zia potrebbe essere stata uccisa con quella efferatezza per motivi economici. E’ stata massacrata, un pensiero che non ci darà pace fino a quando chi ha agito con tale violenza resterà impunito”.
Le indagini, subito dopo il delitto avvenuto all’interno dello storico negozio, erano state serrate. Le persone sospettate, una quindicina. Il sangue trovato sulla tenda del negozio consentì di isolare il dna dell’assassino, che confrontato con ventotto campioni diversi non portò però ad alcun esito. Amici, parenti, conoscenti, commercianti della zona e persino un clochard ed un transessuale, cliente della Giarrusso, furono interrogati. Tutte le piste furono battute. Tuttora, chi ha conficcato le forbici nella gola di “Ninni” Giarrusso e l’ha poi massacrata con più di venticinque coltellate, è riuscito a farla franca.
“In questi anni – aggiunge Daniela Carlino – abbiamo convissuto con dolore, rabbia, delusione. Le domande hanno sempre preso il sopravvento, molti dubbi sono venuti a galla. Per fortuna non abbiamo mai perso la speranza. Speriamo ogni giorno di ricevere le risposte che attendiamo e spesso avvertiamo il rammarico di non aver capito che, probabilmente, qualcosa preoccupava mia zia. Prima di morire non sembrava serena, qualcosa la rendeva triste. Pochi giorni prima di essere uccisa, ad esempio, aveva telefonato ad una parente. Le aveva detto che avrebbe voluto parlarle di un problema, era ansiosa. Ma aveva interrotto la comunicazione perché alcuni clienti erano entrati in negozio. Forse se quella conversazione fosse proseguita, adesso sarebbe più semplice capire cosa le è accaduto. Ma non sapremo mai cosa la affliggeva”.