Nell’osservare Federico in ospedale, ognuno di noi, come sempre capita in occasioni del genere, ha ravvisato qualcuno che amava. Perché il profilo di una persona in corsia reca con sé delle sembianze specifiche e universali. Sola è quella sofferenza, nel luogo e nel tempo in cui si colloca. Sovrapponibile è quell’icona del corpo spogliato delle sue comodità nel rimescolamento interiore che interroga le memorie di ognuno.
E Fedez non è più Fedez, ma soltanto Federico. Non è più il protagonista di un marketing milionario che si basa sul racconto social in presa diretta.
Stavolta c’è qualcosa di diverso rispetto al solito: la consapevolezza di un limite che riguarda la carne, il suo odore, i suoi sobbalzi, i suoi sollievi. Un mondo del tutto fisico, immediatamente percettibile, che oltrepassa i confini del virtuale e li annulla.
Gli ospedali, nelle diverse condizioni che presentano, sono luoghi estremi, di separazione dalla propria vita e dagli affetti che essa contiene.
Sono attraversati da sensazioni: le emozioni vengono dopo. Un piede scoperto che prende freddo può diventare la notizia di un intero universo rattrappito in una condizione di volontaria prigionia.
Ecco perché chi ha insultato, chi ha schernito, chi ha parlato, con toni sguaiati di soldi, si è messo da solo oltre i confini di ciò che è umano nella gravissima incapacità di cogliere il vero nome del dolore e della speranza.
Qui c’è Federico, non più Fedez.
La domanda che i suoi occhi riflettono è univoca per ogni paura che vuole trasformarsi in liberazione. Dottore, guarirò?