E’ come se ci fosse un capogiro, un cortocircuito, un controsenso. L’assassino che annuncia il suo delitto su Facebook, in un post pieno di rancore. Poi, uccide la povera Giovanna Bonsignore, con il bisturi, prima di tagliarsi la gola.
E in quel post, che è ormai patrimonio della cronaca, c’è la bieca retorica di una giustificazione. Di un omicida che si dichiara quasi ‘costretto’ a compiere un’azione orrenda. E’ l’alibi estremo dell’odio che non ammette con se stesso la propria identità, perché si racconta come l’effetto tremendo di una causa esterna.
Ma non si può avere pietà di Salvatore Patinella, quarantuno anni, fermo per sempre nell’atto di maneggiare una lama per assassinare e assassinarsi. Non si può, sotto nessuna latitudine, scorgere un pezzetto di comprensione per quest’uomo violento che ha spento il sorriso di Giovanna. Se ci soffermiamo, solo per un momento sulle sue parole, è per riconoscerle come appartenenti al male e allontanarle, ricacciandole in una dimensione di ferocia.
Si deve avere, invece, pietà per Giovanna Bonsignore che viveva la vita nella sua pienezza ed è stata fermata, con crudeltà, sulla via di molti anni ancora per amare, sorridere ed esserci. Si deve avere pietà per sua figlia, per la sua ragazza, che dovrà affrontare un debito inestinguibile con il dolore. E pietà per chi resta, con le sue lacrime senza requie.
Infine, ci siamo noi. Che ci ritroviamo spesso smarriti – come ha ricordato un amico di Patinella, proteso nel vano tentativo di evitare il peggio -. Che confidiamo sussurri, pensieri e sentimenti al nostro immenso diario social, sperando di intravvedere un orizzonte. Talvolta nascono buoni ponti. Talvolta regna la solitudine, con il suo rumore di sottofondo. Mentre, nell’ultimo riflesso di un assassino, l’odio è un proclama che divampa in pagina e poi uccide. (Roberto Puglisi)