PALERMO – Per le comunicazioni urgenti i boss di Bagheria che volevano parlare con il capomafia di Corleone potevano rivolgersi ad una persona al di sopra di ogni sospetto. Sarebbe stato un prete l’uomo di riferimento per mettersi in contatto con Rosario Lo Bue, arrestato venerdì scorso con l’accusa di essere l’erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Del sacerdote, già identificato dai carabinieri, hanno parlato due pentiti. Innanzitutto Sergio Flamia, boss di Bagheria, che con Lo Bue avrebbe condiviso gli anni di detenzione nella sezione Grecale del carcere Pagliarelli: “Gino Di Salvo e Totino Lauricella (mafiosi bagheresi, ndr), mi dicevano che il mandamento di Corleone era in mano au Zù Rosario.. Rosario Lo Bue”. E Lo Bue gli avrebbe detto che “per cose urgenti se hai bisogno di parlare con me, ti devi rivolgere al prete di Altavilla Milicia, gli fai sapere che devi parlare con me che lui sa, ti dirà lui come incontrarci.”
La conferma alle dichiarazioni di Flamia è arrivata dal un altro collaboratore, Antonino Zarcone: “Tramite Sergio Flamia ne ho parlato, se non mi sbaglio, di Lo Bue… che se avevamo bisogno di metterci in contatto con lui, tramite.. mi diceva Sergio, il prete di Altavilla Milicia… il cappellano di Altavilla Milicia”.
Riferimenti espliciti che hanno consentito ai carabinieri del gruppo di Monreale di identificare il prete. Al momento non è iscritto nel registro degli indagati, ma è inevitabile che accadrà presto. I riscontri alle dichiarazioni dei pentiti son stati delegati alla polizia giudiziaria dai pubblico ministeri Sergio Demontis, Caterina Malagoli e Gaspare Spedale. Bisogna innanzitutto capire come siano nati, se sono davvero esistiti, i contatti fra Lo Bue e il prete impegnato per anni nel territorio di Altavilla Milicia e di recente a Bagheria.
Il capomafia di Corleone è uno che, almeno a parole, si diceva molto religioso. Ha partecipato pure a diversi pellegrinaggi – da Pietrelcina a Lourdes – e in uno di questi potrebbe avere conosciuto il prete. A Bagheria lavorava, ma era originario di Corleone, l’infermiere che ebbe in cura Bernardo Provenzano. Questa, però, è solo una suggestione che i carabinieri non tralasceranno.