Inchieste e processi in Sicilia| "Così si comprano i voti" - Live Sicilia

Inchieste e processi in Sicilia| “Così si comprano i voti”

Il caso Nicotra riporta all'attenzione il tema dei condizionamenti durante le campagne elettorali.

PALERMO – Inchieste, processi e la certezza, difficile però da sostenere in giudizio, che in Sicilia c’è chi compra i voti perché qualcun altro li mette in vendita. Oggi si racconta dell’arresto di Raffaele Nicotra, ex deputato regionale ed ex sindaco di Aci Catena, ma sono tanti i precedenti. Le cronache giudiziarie sono zeppe di inchieste per corruzione elettorale e voto di scambio, semplice o politico-mafioso.

Il deputato regionale Edy Tamajo è attualmente indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. Intercettando galoppini ed elettori le microspie hanno captato frasi dal contenuto inequivocabile: “Può passare una settimana e poi gli danno i 25 euro”; “Basta che non si sparge la voce perché sono cose sempre comprate, hai capito”; “Loro già sono quattro”; “E sono già cento euro”. Da parte sua Tamajo, il più votato a Palermo alle ultime elezioni regionali, si è sempre detto sereno per la correttezza del suo operato. Non conosce i nomi dei galoppini che avrebbero fatto votare per lui promettendo 25 euro in cambio di ogni singola preferenza. Di certo, però, stando alle intercettazioni qualcuno, anche se non dovesse emergere il ruolo dell’onorevole, se ne andava in giro dal rione Brancaccio a Ballarò  a comprare voti.

Per un’indagine in fase di proroga, ce n’è un’altra archiviata. E cioè quella su Fabrizio Ferrandelli, oggi consigliere comunale a Palermo. Non sono stati trovati i riscontri necessari all’ipotesi di voto di scambio politico-mafioso nato dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia del rione Borgo Vecchio.

Per voto di scambio nel corso delle Regionali del 2017 è finito sotto accusa il deputato siracusano Giuseppe Gennuso. Il reato contestato in sede di misura cautelare era aggravato dal metodo mafioso, venuto meno davanti al Riesame che lo ha scarcerato. “Non ho mai pensato che il consenso si acquista – ha detto Gennuso al suo rientro all’Ars -. Le preferenze in questi 20 anni di attività politica mi sono sempre arrivate per il lavoro parlamentare che ho svolto”.

È in dirittura di arrivo il processo che coinvolge altri politici palermitani. Per gli ex deputati regionali Nino Dina e Franco Mineo, a luglio scorso, sono stati chiesti due anni nel processo Agorà, che coinvolge 22 persone e cerca di far luce su un presunto giro di voti comprati. Sotto processo anche Giuseppe Bevilacqua, personaggio centrale dell’indagine che fallì per una manciata di voti l’elezione al consiglio comunale di Palermo ma che, secondo l’accusa, avrebbe cercato di far fruttare il ‘tesoretto’ nella successiva campagna elettorale per le regionali.

Pochi giorni fa la Procura distrettuale di Catania ha emesso un decreto di citazione a giudizio, su indagini della Dia, per corruzione elettorale sulle scorse regionali in Sicilia. Tra i destinatari del provvedimento l’ex consigliere comunale di Forza Italia di Catania, Riccardo Pellegrino. Anche in questa indagine si ipotizza una compravendita di voti con “tariffe” di 50 euro a preferenza.

A marzo dell’anno scorso in appello fu condannato a due anni l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, “colpevole per voto di scambio con l’aggravante di avere favorito Cosa nostra, esclusa la violenza”, con “pena sospesa”. In quella stessa sentenza Lombardo fu assolto dalla più grave accusa di concorso esterno in mafia. Ma la Cassazione a luglio ha annullato con rinvio la sentenza.

Una lunga vicenda processuale interessò l’ex deputato regionale Antonello Antinoro, per il quale alla fine arrivò l’assoluzione dall’accusa di voto di scambio politico-mafioso e venne dichiarato prescritto il reato di corruzione elettorale. I fatti risalivano al 2008 e anche lì si ipotizzarono “prezzi” di 50 euro a voto. Il politico affermò però che le somme esborsate erano il corrispettivo per l’affissione di manifesti.

Lo scorso aprile è stata messa una sentenza di condanna che va in controtendenza con quanto finora acclarato con sentenze definitive. In primo grado sono stati inflitti a tre anni al medico Domenico Galati. L’indagine era stata avocata dalla Procura generale. Per Galati, indagato nella stessa inchiesta sfociata nel processo ad Antinoro, i pm chiesero l’archiviazione per l’accusa di associazione mafiosa. La Procura generale, non condividendo la scelta, ha avocato il procedimento contestando all’imputato il reato di voto di scambio politico-mafioso. Galati è accusato di aver fatto da tramite tra Antinoro ed esponenti della famiglia mafiosa di Pallavicino e Resuttana.


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