PALERMO – Le sorti di Cosa nostra le discutevano in taverna. Tutti insieme appassionatamente, seppure di mandamenti diversi, riuniti in una bettola del Borgo Vecchio, crocevia di affari loschi e strategie mafiose.
Nel popolare rione palermitano era di casa Gregorio Palazzotto, oggi al 41 bis perché considerato il capomafia dell’Arenella. Nelle sue conversazioni intercettate in carcere faceva capolino spesso un nome: “… vedi che Mimmo… quando ha cominciato a unirsi con me neanche sapeva dov’era la via Oreto… via Roma… Falsomiele… non sapeva neanche le strade, lo portai allo Sperone… e glielo ho dovuto portare tre volte, perché non la indovinava la strada… lui dal Borgo non è uscito mai… hai capito? Non ha avuto mai contatto con i cristiani… cose… anzi un po’ di cristiani glieli ho fatti conoscere io…”.
Mimmo sarebbe Domenico Tantillo, considerato “personaggio di spicco della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio” e con cui Palazzotto aveva contatti epistolari. Al fianco di Mimmo al Borgo si muoveva il fratello Giuseppe. Giuseppe ora è un collaboratore di giustizia. E tra le cose racconta ci sono proprio gli incontri nella taverna, oggi chiusa, che per una stagione è stata il punto di riferimento dei nuovi boss.
“In quella taverna, nel settembre 2012, venivano tanti soggetti come Sandro Diele – mette a verbale il collaboratore – Palazzotto ci diceva che che questa persona si interessava per la zona dello Zen… venivano Emilio Pizzurro (la sua zona di riferimento era il corso Calatafimi, ndr), Calogero Ventimiglia, Nicola Di Maio… Giovanni Vitale (tutti di Resuttana, ndr), Tonino Siragusa, Luigi Siragusa, Antonio Tarallo, Filippo Matassa (suocero di Vito Galatolo e uomo forte all’Acquasanta, ndr) Giuseppe Fricano (è stato il reggente di Resuttana, ndr)”.
La gestione della bettola fu al centro di una controversia. “Palazzotto questa taverna l’aveva fatta assieme ad Andrea Picone – aggiunge Giuseppe Tantillo – c’erano dei debiti da pagare al negozio di edilizia dell’Arenella che loro avevano preso materiale… e un debito con il macellaio del Borgo Vecchio, c’avevano 950 euro di conto che loro non avevano pagato…”.
Non era un negozio qualsiasi: “Lo avevano sotto mano nel senso che pagava l’estorsione e gli ha fatto questa cosa del credito che dopo avrebbe pagato piano piano…”. Quando Palazzotto finì in carcere una donna andò a rivendicare la sua parte negli affari. “Voleva cento euro a settimana” ed erano nati attriti, ormai sulla bocca di tutti. E così i Tantillo presero in mano la situazione: “…. abbiamo chiamato il cugino e gli abbiamo detto che Picone avrebbe chiuso la taverna e non gli avrebbe dato niente”. Detto, fatto.